Il famigerato “effetto Sardegna” è rimasto confinato nell’isola. L’euforia nel “campo largo” è durata meno di due settimane, durante le quali stampa anti-governativa e opposizioni parlamentari avevano dipinto un’Italia con il vento cambiato rispetto alle elezioni politiche di un anno e mezzo fa. Ma la realtà ha preso ancora una volta – e prestissimo – il sopravvento: in Abruzzo il centro-destra non solo vince, ma vince bene. Il governatore uscente Marco Marsilio ottiene il 53,5% contro il 46,5% del suo unico sfidante Luciano D’Amico.

La rimonta di cui si cincischiava fino a tarda sera, esisteva solo nelle menti speranzose di Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.

L’Abruzzo stronca la narrazione del “campo largo”

Più che “effetto Sardegna”, diremmo “effetto boomerang”. Già, perché avere politicizzato agli estremi il senso del voto di due domeniche fa ha avuto come conseguenza l’avere adesso assegnato la vittoria non soltanto al centro-destra in Abruzzo, quanto soprattutto alla premier Giorgia Meloni, che è scesa in arena con l’elmetto per evitare il ripetersi di pochi giorni prima.

Cosa non ha funzionato a L’Aquila? Per prima cosa, il dato sardo era stato mitizzato. Il centro-destra ottenne più voti anche in quel caso, ma a causa del voto disgiunto (inesistente in Abruzzo) a vincere fu Alessandra Todde, primo esponente “grillino” a presiedere una regione. La parlamentare non volle né Giuseppe Conte, né Elly Schlein con sé sul palco per la chiusura della campagna elettorale. Ci tenne a rimarcare il significato locale del voto, consapevole che il “campo largo” sia tutt’altro che un valore aggiunto alle urne.

Conte giù, risale Schlein

Ma né Conte, né Schlein hanno tratto la giusta lezione dalla Sardegna. Speravano apertamente nella spallata al governo Meloni, che non ci sarebbe stata nemmeno nel caso di sconfitta del centro-destra. In Abruzzo, il voto è stato politicizzato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

A pagare pegno è stato, in particolare, il Movimento 5 Stelle. Ecco i risultati dei principali partiti, confrontati con quelli di cinque anni fa. Tra parentesi troverete, invece, il dato delle ultime elezioni politiche in Abruzzo:

  • Partito Democratico 20,4% da 11,1% (16,6%)
  • Movimento 5 Stelle 6,5% da 24% (18,4%)
  • Azione 4% (6,3%)
  • Fratelli d’Italia: 24,1% da 6,5% (27,9%)
  • Forza Italia: 13,3% da 9% (11,1%)
  • Lega: 7,6% da 27,5% (8,1%)

Movimento 5 Stelle estraneo al progetto progressista

Come vedete, i pentastellati sono letteralmente colati a picco, mentre il PD ha guadagnato consensi. Questo è già un primo dato assai grave per la tenuta del “campo largo”. Conte accetterà di dissanguarsi a favore di Schlein per arrivare a una vittoria comune? Considerate che la leadership nell’area progressista si giocherà alle elezioni europee di giugno, quando i partiti correranno ognuno per sé con il metodo proporzionale. Al Movimento 5 Stelle tutto converrebbe, fuorché cedere lo scettro al PD senza neanche giocarsela. E già qualche scricchiolio potrebbe esservi in Basilicata, dove non esiste ancora un candidato unitario.

Perché Conte arretra così tanto quando si allea con il PD, fatta eccezione per la Sardegna in cui è riuscito a vincere con un proprio candidato? La questione è genetica: il Movimento 5 Stelle non è una formazione di sinistra, anche se ne sposa molte battaglie. Al Sud, in particolare, molti suoi elettori sono semplicemente cittadini che invocano l’assistenzialismo. Tra loro, tantissimi percettori dell’ormai reddito di cittadinanza. E cosa ci azzecca il PD, che nel 2019 avversò con tutte le sue forze il sussidio?

L’ammucchiata del campo largo non funziona

Conte è consapevole che gli serve allearsi con Schlein per far parte di una coalizione almeno potenzialmente vincente, ma d’altro canto non ignora l’incompatibilità e persino l’estraneità del proprio elettorato ad un progetto di tipo progressista. Questo rischia di essere la foglia di fico dietro cui il PD si riparerebbe per darsi un’immagine rinnovata e attingere ad un serbatoio di voti che altrimenti non otterrebbe mai.

E quale beneficio ne trarrebbe l’ex premier, se non di diventare il vice della segretaria dem?

Manca il progetto politico, il collante attorno a cui si può litigare senza perdere il senso dello stare insieme. E in Abruzzo il flop ha riguardato anche i centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi, i quali riportano uno scarso 4%. L’idea dell’ammucchiata per battere Meloni non funziona. Non funzionò per venti anni quando c’era da sconfiggere il Cavaliere. E sul piano nazionale è peggio. Questioni come la politica estera (Ucraina, Israele, Europa, ecc.) e la politica economica dividono, anziché unire, PD e M5S. Basti pensare come i due partiti abbiano votato diversamente sulla riforma del Mes o quali siano le rispettive posizioni sull’invio di armi a Kiev o ancora cosa ne pensino di Donald Trump.

L’Abruzzo ridà energia al governo Meloni

Infine, a destra a vincere in Abruzzo sono stati un po’ tutti i partiti della maggioranza. Fratelli d’Italia grosso modo conferma i consensi delle politiche (la lista Marsilio al 5,7% è da considerarsi in gran parte sua), Forza Italia va oltre le previsioni e migliora i risultati del settembre 2022 e la Lega regge, anche se il confronto con il 2019 diventa impietoso. A Palazzo Chigi l’umore stamattina dovrebbe essere abbastanza buono.

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