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Oggi: 05 Dic, 2025

La crisi dei GDP warrants, bond legati alla crescita del Pil: battaglie legali da Atene a Buenos Aires

I GDP warrants, che si pensava avrebbero potuto fungere da strumenti risolutori delle crisi del debito, hanno fallito la loro missione.
1 mese fa
3 minuti di lettura
Crisi dei GDP warrants
Crisi dei GDP warrants © Licenza Creative Commons

La ristrutturazione del debito sovrano è un momento sempre carico di tensioni tra creditori e governi. I primi cercano di spuntare le migliori condizioni possibili e spesso si oppongono alle perdite. I secondi cercano di massimizzare gli sgravi per i conti dello stato, riducendo il capitale nominale da rimborsare (“haircut”), l’entità delle cedole e allungando le scadenze dei bond (“roll-over”). I GDP warrants sono stati per anni considerati uno strumento capace di mettere d’accordo le parti. I creditori si addossano perdite immediate nella prospettiva di venire meglio pagati in futuro.

GDP warrants strumenti di accordo tra governi e obbligazionisti

Vediamo cosa sono i GDP warrants e perché le premesse iniziali sono andate deluse.

Si tratta a tutti gli effetti di bond, ma non “plain vanilla”. Essi non pagano cedole fisse e certe, bensì solamente al raggiungimento di un dato livello di Pil raggiunto dallo stato emittente. Da cui la denominazione (GDP sta per Pil in inglese). Qual è la ratio alla loro base? I governi non devono temere di pagare in condizioni economiche avverse e i creditori potranno confidare circa il fatto che saranno soddisfatti con il miglioramento del quadro macro.

In effetti, quando scatta il default di uno stato o si ristruttura il debito senza che formalmente il default sia scattato, il rischio è che le parti giungano a soluzioni di corto respiro. Poiché i creditori hanno fretta di recuperare almeno il capitale, trascurano la necessità per la controparte di trovarsi nelle condizioni di poter pagare. A loro volta i governi la tirano per le lunghe, consapevoli che gli obbligazionisti detestino perdere tempo e con il passare dei mesi finiscono per accettare soluzioni per loro al ribasso.

Argentina dal default alla rinegoziazione

I GDP warrants metterebbero d’accordo tutti. Nei decenni passati li hanno emessi economie di medio-grandi dimensioni come Argentina, Grecia e Ucraina. E proprio questi stati oggi svelano quanto questi strumenti abbiano scontentato il mercato. L’Argentina li emise nel 2005 e in relazione al default del 2001. Fece altrettanto nel 2010 per convincere gli ultimi creditori internazionali ad accettare un accordo. Peccato che la controparte abbia fatto ricorso ai tribunali di USA e Regno Unito, lamentando calcoli manipolati del Pil da parte di Buenos Aires per sfuggire ai pagamenti.

Creditori portano Grecia in tribunale

Le sentenze hanno dato loro ragione. Il governo peronista nella passata amministrazione avrebbe falsato i dati. Il Fondo Monetario Internazionale ha così aumentato il debito pubblico argentino di 1,9 miliardi di dollari per le sue statistiche, includendo proprio i pagamenti dovuti in relazione ai GDP warrants. Le cose non sono andate meglio in Grecia, dove il 14 maggio scorso il governo ha riacquistato i titoli in circolazione emessi nel 2012 e con scadenza nel 2042. Il problema è che ha offerto agli obbligazionisti solo 25,228 centesimi del valore nominale, quando sul mercato a inizio aprile questi strumenti quotavano sui 35 centesimi.

Ucraina in affanno con la guerra

I creditori di Atene si sono rivolti all’Alta Corte di Londra per sapere se il prezzo loro versato sia stato effettivamente sotto i livelli di mercato. Una sentenza è attesa per la prossima primavera. In Ucraina le emissioni di GDP warrants risalgono al 2015, l’anno successivo all’occupazione della Crimea da parte della Russia.

Kiev dovette ristrutturare il suo debito e fissò a 125,4 miliardi di dollari il livello del Pil che avrebbe fatto scattare i pagamenti a favore dei creditori.

L’anno scorso il governo ucraino rinegoziò nuovamente il debito per 20 miliardi di dollari, a causa della devastante guerra con Mosca. Provò a ristrutturare i GDP warrants da 3,2 miliardi, ma senza esito. E nel giugno di quest’anno ha saltato un pagamento da 665 milioni. Malgrado il collasso economico seguito all’invasione russa, il suo Pil a fine 2024 risultava di oltre 190 miliardi. Sopra il trigger fissato nel 2015. Tuttavia, la complessa formula adottata al tempo prevede che il pagamento scatti contestualmente a una crescita del Pil di almeno il 3% e sia potenziato se questa supera il 4%. E l’anno scorso si è fermata al 2,9%.

GDP warrants insufficienti con crisi fiscale

Queste battaglie legali stanno avendo l’effetto di dissuadere altri stati in crisi fiscale ad emettere GDP warrants, semplicemente perché i creditori non ne vogliono sapere. E i tempi per uscire dal default si stanno allungando. Basti pensare ultimamente a Zambia ed Etiopia, malgrado l’adozione del Common Framework del G20. Lo stesso Sri Lanka ha optato per emettere strumenti più rassicuranti come i “macro-linked bond”. La verità che emerge da questo flop è che i pagamenti non sono scolpiti sulla roccia per effetto di un contratto. Se mancano le condizioni macroeconomiche e politiche, il debito è sempre esposto a rischi. Un’ovvietà che spesso ignoriamo quando facciamo shopping di obbligazioni.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

 

 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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