Questo venerdì, il cambio euro-dollaro è arrivato a scendere fino a un minimo di 1,1514, vale a dire il livello più basso dal luglio dello scorso anno, sedici mesi a questa parte. Da inizio anno, la moneta unica perde il 5,7% contro il biglietto verde. E la discesa potrebbe non essere finita. Alla base dell’indebolimento del cross dell’altro ieri vi è stata la pubblicazione del report sul lavoro non agricolo negli USA a ottobre. Sono stati creati altri 531.000 posti, più dei 450.000 attesi.
Il legame tra cambio euro-dollaro e questi dati è molto stretto. Più l’occupazione americana risale dopo il tonfo provocato dalla pandemia e maggiore la velocità con cui la Federal Reserve alzerà i tassi d’interesse. Il governatore Jerome Powell, al termine del board di questa settimana, ha annunciato l’avvio del “tapering”: gli acquisti di Treasuries e obbligazioni coperte da garanzie immobiliari si ridurranno da questo novembre rispettivamente di 10 e 5 miliardi di dollari al mese. Pertanto, cesseranno del tutto entro la prima metà del 2022.
Cambio euro-dollaro al test della divergenza monetaria
Ad ogni modo, Powell ha allontanato la prospettiva di un rialzo dei tassi vicino, pur ammettendo che l’inflazione – al 5,4% a settembre – si stia rivelando meno “transitoria” delle attese. E con salari in crescita al ritmo del 5% all’anno, i “falchi” dell’istituto avranno buone ragioni per argomentare a favore di una stretta monetaria quanto prima. La minore liquidità che verrà iniettata sui mercati nei prossimi mesi e il rialzo già in corso dei rendimenti americani – il Treasury a 10 anni offre più dell’1,50% contro lo 0,90% di inizio anno – faranno lievitare il costo del denaro e attireranno capitali dal resto del mondo, rafforzando per l’appunto il cambio euro-dollaro.
Questi paga anche la crescente divergenza monetaria tra BCE e FED.
Il calo del cambio euro-dollaro, però, rischia di innalzare i costi dei beni importati nell’Eurozona. Di conseguenza, l’inflazione nell’area potrebbe surriscaldarsi ulteriormente, dando un assist ai “falchi” di Francoforte, timorosi per gli effetti che stanno avendo sulle economie nazionali i maxi-stimoli monetari ancora erogati dall’istituto. D’altra parte, il dollaro è un tipico “safe asset” in cui il mercato si rifugia nelle fasi di tensioni. Se la normalizzazione monetaria sarà percepita essenzialmente la conseguenza del superamento dell’emergenza pandemica e senza contraccolpi di rilievo su mercati ed economia reale, la sua forza dovrebbe venire relativamente meno. Ma sono proprio i timori degli investitori per l’impatto che avrà sull’economia mondiale la fine del lungo ciclo dell’“easy money” (denaro facile) a tenerlo in auge.