L’Italia al momento offre i rendimenti più alti nell’Eurozona. Non è certo un primato di cui andare fieri. Per coloro che non avvertono un serio rischio sovrano dietro a questi numeri, però, sorge l’opportunità di impiegare i propri risparmi in modo massimamente fruttifero senza spostarsi dal mercato domestico. Se mettessimo il naso fuori casa, invece, noteremmo i bond della Romania. Bucarest fa parte dell’Unione Europea sin dal 2007 e già questo è un elemento a favore degli investimenti, perché riduce i rischi legali e di credito.
Andando a spulciare tra le numerose emissioni in euro e dollari, i bond della Romania offrono rendimenti che partono da oltre il 5% per le scadenze medio-lunghe fino a più dell’8% per quelle ultra-lunghe. Non sarebbe il caso di capire se possiamo sfruttare tali premi rispetto ai BTp senza incorrere in rischi eccessivi?
Bond Romania a premio su Italia e USA
Partiamo dal bond in euro con scadenza 26 maggio 2028 e cedola 2,80% (ISIN: XS1420357318). Alle attuali quotazioni inferiori a 90 centesimi, offre un rendimento lordo annuale del 5,40%. Sulla medesima scadenza, l’Italia viaggia in area 4,20%. Dunque, siamo in presenza di un premio di circa l’1,20%. Spostandoci sul tratto decennale, anch’esso in euro, scadenza 14 aprile 2033 e cedola 2% (ISIN: XS2330503694), la quotazione di neppure 68 centesimi esita un rendimento annuo lordo del 6,64%. In questo caso, lo spread con l’Italia si allarga a circa 190 punti base o 1,90%.
Infine, abbiamo messo gli occhi sul bond della Romania a 30 anni, ma denominato in dollari. Scadenza 17 gennaio 2053 e cedola 7,625% (ISIN: XS2571924070) e quotazione in area 97 centesimi. Rendimento lordo annuale di poco superiore all’8%. In questo caso, per noi investitori dell’Eurozona esiste un rischio di cambio da tenere in considerazione. Lo spread con il T-bond degli Stati Uniti di pari durata viaggia sopra i 300 punti o 3%.
Ma ora la vera domanda: ok, ma i bond della Romania sono affidabili? Partiamo dai rating: BBB- per S&P e Baa3 per Moody’s.
Rischi da inflazione e tassi
L’economia rumena resta poco competitiva. La bilancia commerciale è cronicamente passiva, così come il saldo delle partite correnti. Questo significa che le esportazioni di beni, servizi e capitali rimangono inferiori alle importazioni. Ciò impatta negativamente sulle riserve valutarie, che si attestano a 65 miliardi di euro. E con un debito estero a breve termine stimato intorno ai 45 miliardi, qualche spia si accende. Anche perché le importazioni mensili risultano in media sui 10 miliardi.
L’aspetto più rasserenante riguarda la capacità della banca centrale di mantenere grosso modo stabile il cambio contro l’euro. Qui, però, alcuni problemi nei prossimi mesi potranno arrivare da inflazione e tassi. La prima resta elevata, sfiorando il 9%, a fronte di un costo del denaro al 7%. La pressione per continuare ad alzare i tassi diverrebbe più forte se la Banca Centrale Europea restasse restrittiva da qui a medio termine. Inevitabile l’impatto negativo su consumi delle famiglie, già in corso, e PIL. Oltretutto, salirebbe la spesa per interessi e il cambio andrebbe sotto pressione, costringendo la banca centrale ad attingere alle riserve per difenderlo, ma aumentando di conseguenza il rischio di credito per le emissioni in euro e dollari.