Chi lo ha detto che solo i “tecnici” possano gestire al meglio i conti dello stato? Il 2024 ha visto il ritorno dell’Italia all’avanzo primario, un obiettivo apparentemente impossibile fino a qualche anno fa. Per troppi anni l’Italia si era convinta che il ministro dell’Economia dovesse essere necessariamente una figura tecnica, in modo che si opponesse con maggiore vigore all’assalto alla diligenza dei partiti della maggioranza di turno. Ed è un dato di fatto che dopo Giulio Tremonti dovemmo attendere altri 8 anni prima di ritrovare in via XX Settembre una figura politica con Roberto Gualtieri nel 2019. L’attuale sindaco di Roma gestì le finanze sotto il secondo governo Conte.
Avanzo primario con Giorgetti già nel 2024
Dall’ottobre del 2022 in quel dicastero abbiamo un altro politico, il leghista sui generis Giancarlo Giorgetti. Già allo Sviluppo con il governo Draghi, accettò quasi con riluttanza la nomina della premier incaricata Giorgia Meloni. Troppo alto il rischio di diventare il capro espiatorio di una nuova crisi del debito italiano sui mercati finanziari.
Le cose sono andate assai diversamente. Quando siamo a metà legislatura, lo spread è sceso sotto 100 punti e ai minimi da oltre 3 anni. Le agenzie di rating stanno promuovendo il debito italiano e gli investitori stranieri fanno incetta di BTp. Le famiglie hanno quasi triplicato le loro detenzioni negli ultimi anni, attratti dalle emissioni retail. Un successo non arrivato per caso e che si riassume tutto nel ritorno all’avanzo primario dell’Italia dopo 5 anni. Il 2024 si è chiuso con un deficit fiscale del 3,4%. Poiché la spesa per interessi è ammontata al 3,8%, significa che al netto di tale voce il bilancio dello stato ha esitato un saldo positivo dello 0,4%.
Era negativo per il 3,6% nel 2023 e per il 3,8% nel 2022.
Italia brilla nel confronto internazionale
Giorgetti è stato capace di migliorare il saldo primario del 4,2% del Pil in appena 2 anni. Non accadeva da almeno mezzo secolo a questa parte. E’ un indicatore importante per misurare lo stato di salute delle finanze pubbliche. Si tratta del saldo controllabile direttamente dal governo. La spesa per interessi è influenzata dall’andamento dei tassi di mercato. Il governo può agire su entrate e spese. Alzando le prime e riducendo le seconde migliora i conti pubblici e abbassa il rischio sovrano percepito sui mercati, cioè lo spread. A sua volta, ciò nel tempo riduce la stessa spesa per interessi e accelera la riduzione del deficit complessivo.
L’avanzo primario è stata una costante nell’Italia da inizio anni Novanta e ci dice che nel confronto internazionale siamo stati un modello nella gestione dei conti pubblici. Tra il 1995 e il 2024, in soli 6 anni abbiamo chiuso il bilancio in disavanzo primario. Accadde nel 2009 e tra il 2020 e il 2023, cioè in anni di crisi. La stessa Germania ha fatto di peggio: in disavanzo primario per 13 anni, quasi la metà del tempo.
Non parliamo della Francia: in avanzo per soli 7 anni, meno di un quarto del tempo. In Spagna segno meno per 19 anni e l’ultimo segno più risale al lontano 2007.
Giorgetti credibile sui conti pubblici
Prima del Covid, l’Italia registrava un avanzo primario medio attorno all’1,5% del Pil. Nel decennio precedente alla crisi mondiale del 2008, però, la media era stata del 2,6%. Giorgetti è percepito dai mercati come un tutore credibile della stabilità fiscale. Il suo essere un esponente politico, anziché percepito negativamente, viene considerato un valore aggiunto. Può dire quei “no” ai suoi stessi compagni di partito, che in qualità di tecnico non avrebbero forse fatto breccia. Pensate alle pensioni, quando frenò sul nascere le richieste del vicepremier Matteo Salvini su Quota 100 e altri allentamenti della legge Fornero.
Lo stesso sta avvenendo oggi sulle tasse. La premier ha annunciato un piano per tagliarle al ceto medio. Il ministro non ha reagito negativamente, ma ha fatto presente che mancano due anni e mezzo alla fine della legislatura. Un modo per dire che prima bisogna consolidare i conti pubblici. In realtà, Giorgetti vuole mettere in chiaro che la riduzione dell’IRPEF potrà avvenire solo con le adeguate coperture finanziarie. E’ un fatto di credibilità per i contribuenti. I tagli in deficit non ispirano fiducia, perché i beneficiari temono di essere chiamati presto a pagare altrimenti il conto.
Avanzo primario dovrà salire
Per stabilizzare il rapporto tra deficit e Pil, l’avanzo primario dovrà verosimilmente salire a 1,5-2% del Pil. La stima deriva da una previsione di crescita nominale nel medio-lungo periodo del 3% e un rendimento medio ponderato dei BTp al 2,5%. L’Unione Europea non richiede maggiori sacrifici di quelli già previsti con la legge pluriennale di bilancio al 2027. Ma è evidente che a Roma non si potrà abbassare la guardia. E i “no” di Giorgetti non sono un limite all’azione di governo, bensì un asset per lo stesso. Si traducono in acquisti di BTp e rendimenti minori, cioè in un sollievo per i conti dello stato. E, soprattutto, costringono i colleghi a trovare soluzioni strutturali e non in deficit, cioè a spese del futuro.