Il debito pubblico italiano non è mai stato così alto, avendo superato anche i 3.130 miliardi di euro nel mese di ottobre e quasi certamente risalendo sopra il 136% del Pil alla fine di quest’anno. Ma sui mercati non solo non c’è ansia, al contrario i nostri titoli di stato non erano andati così bene da decenni. Bisogna tornare al 2009 per trovare uno spread così basso, sceso fino a 66 punti base o 0,66%. Sembrano lontanissimi i tempi in cui arrivò a 576 punti. Eppure, il debito italiano in rapporto al Pil era ancora al 120% e in valore assoluto sotto i 2.000 miliardi.
Il debito pubblico non spaventa più i mercati
Gli stessi CDS segnalano un rischio sovrano percepito molto basso e di fatto rientrato del tutto dai livelli di allarme fino a qualche tempo fa.
Costano meno di quelli francesi, così come più bassi sono anche i nostri rendimenti a lungo termine. Non è un paradosso, quanto l’adattamento al nuovo contesto macro e geopolitico. I mercati non temono più il debito pubblico italiano, perché si trovano a gestire una montagna di debiti che cresce in ogni angolo del mondo. E mentre i governi delle altre principali economie avanzate annunciano ulteriori debiti, l’Italia ne approfitta per scoprirsi formica. Taglia il deficit e torna all’avanzo primario, consapevole che un cattivo studente non possa permettersi di marinare la scuola, anche se lo fanno tutti gli altri un tempo più disciplinati.
Differenze con la crisi del 2011
Le differenze con il 2011 sono notevoli. I mercati allora presero di mira il debito pubblico dei cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) per il timore che saltasse l’euro dopo i salvataggi internazionali di Atene, Dublino e Lisbona. La Banca Centrale Europea (BCE), lungi dal mostrarsi pronta a gestire la situazione, se ne uscì alzando i tassi di interesse e inviando una devastante lettera al governo Berlusconi per reclamare l’implementazione di una cinquantina di riforme.
Oggi, al contrario essa segnala di avere consapevolezza. Pur non essendo lontani i tempi del “non siamo qui a chiudere gli spread”, ha in questi anni varato un piano anti-spread per ridurre la frammentazione monetaria. E ancora oggi detiene circa 3.250 miliardi di bond pubblici tra Quantitative Easing e PEPP.
Incognita inflazione
C’è il fattore inflazione a disturbare questa apparente serenità. Avendo smesso di scendere, prospetta una politica monetaria meno accomodante per i mesi prossimi. E ciò sta innalzando i rendimenti lungo la curva. Tuttavia, per il momento essa contribuisce a tenere a bada i costi di emissione del debito pubblico sui mercati. I rendimenti a medio-breve termine risultano, infatti, negativi o leggermente positivi in termini reali. Non è così per tutti gli emittenti, tra cui l’Italia con tassi di inflazione nettamente sotto i rendimenti anche a brevissimo termine.
L’inflazione ha contribuito, poi, in questi anni a ridurre il rapporto tra debito e Pil, gonfiando il valore nominale di quest’ultimo.
Nell’Eurozona, è passato da una media del 96,5% nel 2020 all’87,1% nel 2024. Non troppo più alto dell’83,6% del 2019. Gli esempi di Grecia e Portogallo aiutano a placare l’allarmismo. Entrambi i Paesi hanno abbattuto i rispettivi rapporti tra debito e Pil grazie alle riforme e rilanciando la crescita. Erano dati per spacciati all’apice della crisi del decennio passato.
Stabilità politica e dati macro positivi
Insomma, il clima sui mercati è positivo, specie per il debito pubblico italiano pluri-premiato dalle agenzie di rating. E nel regno degli orbi, chi ha un occhio è re. Accade proprio questo nella fase attuale. La stabilità politica e la resilienza economica del Bel Paese contrastano con l’instabilità e gli scontri politici e sociali in Francia e la pessima congiuntura dell’economia tedesca. Fuori dall’Unione Europea, le preoccupazioni stanno riguardando niente di meno che Stati Uniti, Regno Unito e Giappone. Insomma, tutti i grandi cadono e noi per una volta tanto restiamo in piedi.
Rischio compiacenza dei mercati sul debito pubblico globale
C’è il rischio che dietro questi spread e rendimenti reali iper-compressi si celi un clima di compiacenza sui mercati verso il debito pubblico di un po’ tutte le grandi economie europee. Gli investitori starebbero sottovalutando le conseguenze della debolezza politica di Francia e Germania. I rispettivi governi non si mostrano capaci già oggi di perseguire politiche di bilancio solide. Sovra-spendono senza una reale strategia, solo per assenza di alternative praticabili. Non riescono ad aumentare le entrate per coprire gli investimenti attesi sul riarmo e per potenziare i ritmi di crescita. A tale proposito, l’Europa è rimasta molto indietro sull’Intelligenza Artificiale rispetto a giganti come USA, Cina e Giappone. Nel tentativo di recuperare, i suoi governi potrebbero nei prossimi anni investire massicce risorse pubbliche su questo comparto.
La debolezza geopolitica del Vecchio Continente porterà la stessa BCE a più miti consigli: tenere i tassi bassi per evitare fibrillazioni fuori controllo presso le principali capitali dell’area e consentire ai governi di sostenere costi di emissione accettabili. Un rischio per l’inflazione, che può generare sfiducia sui mercati riguardo ai titoli del debito pubblico a più lunga scadenza.
Dunque, non è che il rischio non esista più. Anzi, rispetto alla crisi del 2011 le condizioni fiscali complessive del pianeta sono di gran lunga peggiorate. Da tempo trema persino il Giappone, che in molti indicavano come un esempio di economia capace di reggere senza problemi percentuali di debito mai raggiunte altrove. In un certo senso, la calma è data dal rinvio della soluzione ad un problema che tutti sperano resti sotto controllo ancora a lungo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it