Capita sovente di sentire, in materia pensionistica, di pensioni tagliate e ridotte. Infatti anche se si discute sempre sui requisiti di accesso delle pensioni e sul fatto che in Italia si vada in pensione troppo in là con gli anni, è altrettanto vero che anche gli importi delle prestazioni finiscono sul banco degli imputati. Perché non esiste studio che non mette in evidenza che in Italia le pensioni sono di importo molto basso. Questa evidenza nasce da diversi fattori. In primo luogo l’importo delle pensioni è basso per via di alcune regole di calcolo che di fatto penalizzano i trattamenti per la stragrande maggioranza dei contribuenti. E poi perché, sempre per alcune regole del nostro sistema previdenziale, l’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione produce un abbassamento degli importi delle pensioni
Pensioni tagliate, ecco da quando e perché si prenderà di meno
Una volta le pensioni erano più alte di importo perché il calcolo della pensione si basava su un metodo molto più favorevole rispetto a quello odierno.
Parliamo del sistema retributivo.
Un metodo basato sulle ultime annualità di stipendio di un contribuente. Il fatto che le pensioni venivano calcolate in base alle ultime retribuzioni esponevano però l’intero sistema a delle evidenti problematiche. Infatti bastava ottenere degli stipendi rilevanti negli ultimi anni di carriera per prendere una pensione molto più alta di quella che invece sarebbe stata maturata in base al numero di anni di contribuzione versati. Proprio per questo motivo con la riforma Dini si è deciso di porre un freno a queste regole. Imponendo il calcolo contributivo della prestazione.
A cui si deve il calo di importo delle prestazioni. In sostanza adesso le pensioni vengono calcolate esattamente partendo dall’ammontare dei contributi versati. Un contribuente che ha versato più anni di contributi, o ha versato contributi più elevati prende di più di uno che invece ha versato poco oppure ha versato contributi meno importanti.
E questo a prescindere dalle retribuzioni degli ultimi anni di carriera. In questo modo sono state evitate quelle pratiche spesso poco chiare con cui un contribuente, grazie ad improvvisi scatti di carriera e avanzamenti di livello, riusciva a spillare delle retribuzioni più elevate sul finire della carriera. In modo tale da guadagnarsi una pensione più elevata, ma iniqua.
I coefficianti di trasformazione peggiorano il calcolo dei trattamenti
Una questione di equità quindi è quella che ha portato a pensioni tagliate. Chi va in pensione con il metodo contributivo prende meno di chi ci andava con il metodo retributivo. Ma le pensioni tagliate nascono anche dal meccanismo di collegamento delle pensioni alle aspettative di vita della popolazione. Determinando il fatto che un contribuente prende una pensione più bassa di un altro, per il solo fatto di essere uscito qualche anno dopo dal mondo del lavoro.
E questo, a parità di età di uscita e montante contributivo accumulato. Per esempio, è successo che a parità di età e contributi, chi è andato in pensione nel 2025 ha preso meno di chi ci è andato nel 2024 o nel 2023.
E dal 2027 capiterà la stessa cosa, con i nuovi pensionati del biennio 2027-2028 che prenderanno meno dei pensionati del biennio precedente.
Infatti oltre che sui requisiti per le pensioni, la stima di vita degli italiani incide pure sugli importi delle pensioni. Ogni due anni oltre che l’aggiornamento dei requisiti, l’aspettativa di vita genera anche un aggiornamento dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione.
Più sale la vita media della popolazione meno favorevoli sono questi coefficienti e di conseguenza meno alta è la pensione.
In buona sostanza ed in definitiva il taglio delle pensioni è un qualcosa con cui i contribuenti che andranno in pensione dal 2027 dovranno tenere conto così come lo hanno fatto quelli che sono andati in pensione nel 2025 rispetto al biennio precedente.
