Auspicare una pensione anticipata, che permetta di lasciare il lavoro prima dei 67 anni di età, è un desiderio comune a molti contribuenti. L’attesa per le decisioni del governo in materia pensionistica è elevata: all’orizzonte ci sono i paventati 3 mesi di aumento dei requisiti dal 2027, le pensioni a 64 anni legate alla previdenza complementare e al Trattamento di Fine Rapporto (TFR), e la Quota 41 flessibile, solo per citare alcune ipotesi.
La voglia di pensionamento anticipato e la preoccupazione di tanti lavoratori ruotano proprio attorno a questi aspetti. Ma siamo davvero sicuri che andare in pensione prima convenga? Il dubbio è di quelli che tolgono il sonno, perché perdere parte della pensione per anticipare l’uscita non è certo facile da accettare.
Anticipare la pensione ok, ma i tagli di assegno?
Anche le possibili nuove misure che il governo sembra intenzionato a introdurre prevedono, in diversi casi, penalizzazioni economiche per chi sceglie l’uscita anticipata. La Quota 41 flessibile, ad esempio, comporta un taglio lineare per ogni anno di anticipo. Oggi, invece, strumenti come Opzione Donna e Quota 103 prevedono il calcolo interamente contributivo della prestazione.
In altre parole, molte misure di pensionamento anticipato implicano inevitabilmente il sacrificio di una parte dell’assegno futuro. E, in realtà, perdere pensione anticipando l’uscita riguarda tutti, a prescindere dallo strumento scelto.
Oltre alle penalizzazioni previste dalla normativa, esistono infatti delle perdite strutturali: uscire prima significa smettere di versare contributi. E smettere di versare contributi equivale a non alimentare più quel “salvadanaio” che costituisce il montante contributivo, con la conseguenza inevitabile di una pensione più bassa.
Andare in pensione in anticipo senza perdere soldi è possibile? Ecco la risposta
Nel sistema contributivo, questo meccanismo è ancora più evidente.
La pensione si calcola in base ai contributi versati: più si versa, più si prende; meno si versa, meno pensione si riceve.
A questo si aggiunge un altro fattore: il montante contributivo viene sì rivalutato al tasso di inflazione, ma soprattutto è moltiplicato per dei coefficienti di trasformazione, che peggiorano man mano che si abbassa l’età di pensionamento.
Tradotto in pratica: più giovani si va in pensione, meno favorevoli sono i moltiplicatori, e quindi l’assegno finale risulta inevitabilmente ridotto. Uscire prima, dunque, non è mai gratuito in termini di perdita economica.
La pensione in anticipo deve essere meglio studiata, ecco i suggerimenti
Diventa quindi fondamentale verificare quanto si perde davvero di pensione e valutare con attenzione il momento ottimale per l’uscita. A volte, anticipare o posticipare anche di pochi anni può fare una grande differenza.
L’importo della pensione è un elemento cruciale, spesso persino più importante della possibilità di uscire qualche anno prima. Lo dimostra, ad esempio, il calo di interesse verso misure come la Quota 103 o l’Opzione Donna: pur essendo ancora in vigore, risultano oggi molto meno sfruttate dai contribuenti, proprio per via delle pesanti penalizzazioni sull’assegno.
In sintesi, andare in pensione prima non è mai esente da tagli, e non solo perché le singole misure prevedono riduzioni nella loro struttura normativa, ma anche per il semplice fatto che smettere di lavorare e versare contributi abbassa inevitabilmente l’importo finale della pensione.
