Shigeru Ishiba è primo ministro da meno di un anno e ha già perso due elezioni in Giappone. La prima è stata nell’ottobre scorso, quando subito dopo essere succeduto a Fumio Kishida, sciolse la Camera bassa e si ritrovò senza più maggioranza assoluta dei seggi per la sua coalizione. E ieri è accaduto alla Camera alta o Dieta. Il rinnovo riguardava la metà dei 248 seggi (125, compreso un seggio in palio per le elezioni suppletive). La coalizione formata dal Partito Liberal Democratico e Komeito disponeva di 66 seggi, ma ne ha riconfermati solo 47. E’ andata meglio di quanto paventato dai sondaggi e persino dai primissimi exit poll.
Il partito di Ishiba, in particolare, ha conquistato 39 seggi contro i 32 stimati ad inizio spoglio. Resta il fatto che occorreva conquistare 50 seggi in tutto per confermare la maggioranza.
Elezioni in Giappone, governo Ishiba più debole
Nove dei dieci partiti all’opposizione si sono detti disponibili a collaborare con il governo. Ha trionfato quadruplicando il numero dei seggi a 17 il DPP, il cui manifesto politico si può riassumere con lo slogan “Prima il Giappone”. Il primo ministro ha commentato che non si dimetterà. Per quanto non sia nell’aria alcuna coalizione alternativa, due i possibili esiti di queste elezioni in Giappone: richiesta di dimissioni da parte del partito; ricerca di nuovi alleati. Non gli è stato di aiuto l’imposizione di dazi americani al 25% sulle esportazioni nazionali, dopo che Ishiba sembrava essere meglio posizionato degli altri leader nel confronto con l’amministrazione Trump.
Rendimenti ai massimi da decenni
A noi di questo appuntamento interessa il possibile impatto sui mercati finanziari.
Oggi a Tokyo la borsa è chiusa per festività. L’assenza di negoziazioni rinvia ai prossimi giorni la verifica di quanto accaduto. Può contribuire a distendere gli animi. Il nervosismo alla vigilia riguardava il mercato sovrano. Nelle sedute scorse il rendimento a 30 anni è arrivato a salire al nuovo record storico del 3,20%. Il decennale ha sfiorato, invece, l’1,60%. E dire che la Banca del Giappone tiene ancora a bada i titoli di stato con acquisti quotidiani, pur progressivamente annunciati in calo.
Crisi del riso al centro del dibattito elettorale
Per capire cosa sta succedendo a Tokyo e perché debba riguardarci, bisogna partire da un dato clou: il prezzo del riso. Queste elezioni in Giappone hanno avuto un tema dominante, cioè l’esplosione del costo per l’acquisto della principale pietanza nazionale. L’apice veniva raggiunto a maggio, quando un sacco di 5 kg arrivò a costare al supermercato 5.000 yen. Fanno circa 6 euro al kg. Nelle ultime settimane i prezzi sono un po’ scesi, ma restando sempre alti rispetto alla media degli anni passati. Il calo è da attribuire all’uso delle scorte da parte del governo e alla temporanea apertura alle importazioni dall’estero per sopperire alla debole offerta domestica.
La crisi del riso sta svelando le vulnerabilità del sistema economico e finanziario nipponico. Più in generale l’inflazione è inusitatamente elevata dopo essere stata per decenni appena positiva o negativa. A giugno è scesa al 3,3%. La Banca del Giappone tiene ancora i tassi di interesse allo 0,50%. Tanto per fare un esempio, la Banca Centrale Europea ha tassi al 2% con un’inflazione anch’essa al 2% a giugno.
La Federal Reserve li tiene al 4,50% con il 2,7% di crescita dei prezzi annuale. Tassi così bassi stanno indebolendo da anni il cambio, anche se lo yen si è rafforzato dai minimi di inizio anno.
Rischio di crisi fiscale per Tokyo
Se Tokyo alzasse i tassi, però, esploderebbe la spesa per pagare gli interessi su un debito pubblico salito sopra il 250% del Pil. Da cui la prudenza di banca centrale e governo. E alle elezioni in Giappone di domenica si è parlato di stabilità fiscale. Le opposizioni hanno promesso aumenti di spesa e tagli alle tasse in deficit. Al contrario, Ishiba ha prospettato tagli alle tasse con relative coperture. Egli ha voluto segnalare ai mercati di essere responsabile nella gestione dei conti pubblici. Gli elettori gli hanno dato anche questa volta torto. E questo non depone a favore della stabilità finanziaria globale.
Ricadute all’estero
In effetti, dopo l’esito di queste elezioni in Giappone possiamo affermare che il governo in carica sia più debole. E magari sarà tentato prima o poi a ingolosire gli elettori con politiche fiscali espansive. Tutto questo quando già i rendimenti sono ai massimi da decenni lungo la curva delle scadenze. Se continuassero a salire, la spesa per interessi destabilizzerebbe i saldi di bilancio. Gli effetti sarebbero negativi anche all’estero. Molti dei capitali domestici investiti altrove rientrerebbero per essere impiegati nei bond sovrani, privando il mercato azionario statunitense e il mercato obbligazionario europeo di parte della domanda.
Elezioni in Giappone brutta notizia per bond europei
In pratica, da queste elezioni in Giappone potrebbero arrivare notizie negative per i titoli di stato europei, oltre che per Wall Street. E già una fuga dei capitali nipponici ai danni dei Bund, in particolare, si era registrata nei mesi passati. Inoltre, i mercati finanziari potrebbero avvertire un rischio di crisi fiscale anche a Tokyo e spingere al rialzo i rendimenti globali.
Perché in fondo la musica sembra la stessa da Tokyo a New York, passando per il Vecchio Continente. Tutti i governi hanno famelici piani di spesa senza che vogliano far pagare il conto a qualcuno.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

