C’è tempo fino al 31 luglio per evitare che sulle esportazioni negli Stati Uniti le imprese dell’Unione Europea vengano stangate al 30%. E il fatto che ad oggi i dazi non abbiano fatto così male all’economia americana, mentre stanno aumentando gli incassi, non depone granché a favore del buon esito del negoziato. L’inflazione di giugno è sì salita al 2,7% dal 2,4% di maggio, ma senza scatenare grossi timori sul rialzo dei prezzi al consumo. Probabile che i consumatori americani pagheranno lo scotto nella seconda metà dell’anno, mentre per il momento prevale una narrazione del governo rassicurante.
Entrate annuali sopra 300 miliardi
Nei primi sei mesi dell’anno, i dazi hanno esitato incassi per il bilancio federale di 127 miliardi di dollari, sostanzialmente raddoppiando rispetto al primo semestre del 2024. Nel solo mese di giugno sono saliti a 27 miliardi, registrando un balzo annuo del 301%. A gennaio, ultimo mese sotto l’amministrazione Trump, si erano fermati a 7,9 miliardi.
Ad aprile, quando vi fu annunciato il “liberation day”, salivano già a 16,3 miliardi. Per Peter Navarro, consigliere per il commercio del governo, potranno attestarsi sopra i 300 miliardi nell’intero 2025.
Considerate che in tutto il 2024 gli incassi dai dazi furono 77 miliardi (aliquota media del 2,3%). Se le previsioni di Navarro si rivelassero corrette, quadruplicherebbero. E già sono diventati la quarta fonte di entrata per il bilancio federale. La “guerra” commerciale serve senza dubbio a colpire le importazioni e a sostenere la ripresa della competitività per le imprese americane. Ad ogni modo, per Trump sono diventati uno strumento per fare cassa. E con un bilancio che genera ogni anno 2.000 miliardi di deficit, tutto fa brodo.
Profitti a rischio e inflazione in crescita
Certo, non saranno gli oltre 200 miliardi o più di maggiori incassi dai dazi a risanare i conti pubblici americani. Anche se la cifra assoluta sembra enorme, in relazione al Pil vale non più dello 0,75%. Resta il fatto che le entrate aumentino. A giugno, il bilancio ha registrato un inatteso avanzo di 27 miliardi, il primo dal 2017 (anche allora al primo anno di amministrazione Trump) e per coincidenza uguale alle entrate doganali.
Il rovescio della medaglia sta nell’impatto che questo apparente beneficio avrà sui bilanci familiari. I maggiori incassi dai dazi si traducono in aumenti dei prezzi al consumo. Le imprese scaricheranno prima o poi i rincari sui clienti, anche se in parte potranno assorbirli per non cedere alla concorrenza quote di mercato. Dovremmo aspettarci, dunque, un mix tra accelerazione dell’inflazione e calo dei profitti. Questo secondo aspetto non è scontato nelle quotazioni azionarie, salite ai nuovi massimi storici a Wall Street.
Incassi sui dazi aumento delle tasse mascherato
L’amministrazione Trump ha appena approvato la conferma dei tagli alle imposte varati durante il primo mandato. Non intende risanare il deficit aumentando la pressione fiscale, perlomeno non esplicitamente. La realtà è che i maggiori incassi dai dazi sono una forma mascherata di aumento delle tasse. Paradossalmente, il beneficio per Trump svanirebbe se si concretizzasse la sua previsione sulla sostituzione delle importazioni con produzioni nazionali.
Le tariffe insisterebbero su merci sempre meno vendute, riducendo le entrate. Certo, in compenso aumenterebbero le entrate fiscali legate alla maggiore offerta domestica. Staremo a vedere. Finora Trump non ha pagato dazio.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

