“Come un pollo ho investito quasi tutti i miei risparmi sul bond Venezuela 2027, acquistandone 5.000 euro al prezzo di 46, ora quotano 28 circa. Cosa mi consiglia, recuperare quello che posso o aspettare che succeda qualcosa?” E ancora: “La ristrutturazione riguarderebbe tutti i bond fino al 2038? E le cedole arretrate saranno comunque pagate?”. Sono alcune delle domande arrivate per email a [email protected] da parte di piccoli investitori italiani e che succintamente vi pubblichiamo in forma anonima per cercare di fornirvi qualche dritta.

Lungi da noi (si badi bene!) dal dispensare qualsiasi consiglio formale sul cosa fare o non fare. Si tratta solamente di ragionare a freddo su alcuni dati. (Leggi anche: Bond Venezuela, le cedole non arrivano più: sarà default?)

Iniziamo dalla prima domanda. Cosa fare se si hanno bond in pancia e che quotano adesso a prezzi nettamente più bassi di quelli a cui sono stati acquistati sul mercato secondario o all’atto della loro emissione? Iniziamo col dire che tutti i bond venezuelani in mano ai creditori privati, qualcosa come circa 64 miliardi di dollari, sono oggetto di una rinegoziazione richiesta dal governo di Caracas. Non sono state fornite indicazioni su un’eventuale proposta agli obbligazionisti, tanto che qualche analista azzarda che si tratti semplicemente di una mossa con cui il presidente Nicolas Maduro, in piena emergenza economica, finanziaria e sociale, tenterebbe di ricattare gli USA, spingendoli ad allentare o a ritirare del tutto le sanzioni comminate nell’agosto scorso, che impedendo a società e individui americani di fornire al Venezuela dollari, di fatto ne rende impossibile il rifinanziamento del debito sovrano. Poiché tra i creditori vi sono diversi istituti e privati americani, la minaccia della rinegoziazione dei titoli avrebbe la sua efficacia.

I titoli risultano scesi a livelli infimi, se si considera che il bond 2027 cedola 7%, ai prezzi attuali, renderebbe intorno al 37% all’anno, mentre il bond 2038 cedola 7% più del 20%.

Dati, che segnalano la convinzione del mercato che il Venezuela sarebbe sostanzialmente in stato di default. In effetti, per Fitch il paese sarebbe in “Restricted Default”, per S&P in “Selective Default”, mentre Moody’s gli assegna ancora un giudizio “Caa3”, certamente non positivo per il suo merito creditizio. Complessivamente, Caracas ha saltato scadenze per complessivi 1,6 miliardi di dollari, in gran parte superando i termini del periodo di grazia.

Prezzi bond Venezuela in forte risalita

Riuscirebbero i creditori, nel caso di rinegoziazione effettiva del debito, a strappare al governo “chavista” condizioni almeno migliori di quelle attualmente vigenti sul mercato? In teoria, dovrebbero lavorare a questo, ma nulla è detto, specie se si ha a che fare con un regime così erratico e chiuso alle ragioni altrui, come quello venezuelano. A titolo di puro confronto, l’Argentina concesse ai creditori, a distanza di anni dal default di fine 2001, il rimborso dei bond al 30% del loro valore nominale. Quanto alla domanda su quali titoli siano oggetto della ristrutturazione ancora tutta da avviare, la risposta è tutti, quindi, anche i bond con scadenza 2038. Sulle cedole, poi, non siamo in grado di fare previsioni, ma sembra complicato riuscire a ottenere che il governo le paghi alle condizioni date. In teoria, la ristrutturazione può consistere in: taglio del valore nominale dei bond (“haircut”), ovvero alla scadenza non viene corrisposto l’intero valore promesso all’atto dell’emissione; taglio delle cedole e finanche il loro azzeramento; taglio sia del valore nominale che delle cedole; sostituzione dei bond attuali con bond più longevi alle medesime/modificate condizioni. (Leggi anche: Default Venezuela in stile Argentina? Ecco perché il mercato guarda ai suoi bond)

C’è un aspetto di cui bisogna dare conto: dopo avere toccato i minimi l’8 gennaio scorso, i bond 2027 e 2038 sono nettamente risaliti di prezzo, rispettivamente di oltre il 24% e il 30%.

Al momento, i primi quotano quasi 28 e ai massimi da due mesi e i secondi poco più di 27, ai massimi da due mesi e mezzo. Cosa sta succedendo? E’ probabile che il mercato stia mostrandosi meno pessimista di qualche settimana fa, in considerazione del timido dialogo apertosi tra il regime e le opposizioni sulle elezioni presidenziali dei prossimi mesi. Se raggiungessero un accordo sulle modalità in cui celebrarle, gli USA potrebbero rivedere la decisione dei mesi scorsi e allentare le sanzioni, con ciò consentendo a Caracas di sbloccare i pagamenti arretrati e/o di effettuare anche quelli nuovi.

Attenzione, però, a passare dall’estremo pessimismo a un vuoto ottimismo. Aldilà di cosa deciderà l’amministrazione Trump, la capacità del governo venezuelano di affrontare le scadenze resta bassissima. Il paese dispone di meno di 9,5 miliardi di dollari come riserve valutarie, di cui i tre quarti in oro e oltre agli 1,6 miliardi di arretrati, dovrebbe sborsare solo quest’anno tra bond e cedole sovrani e della compagnia petrolifera statale PDVSA qualcosa come 10 miliardi. Quasi scontato che chieda un allungamento delle scadenze, altrimenti sarebbe costretto a comprimere ulteriormente le importazioni di beni essenziali e a livelli ancor meno sostenibili per una popolazione già affamata. E pensare che alla morte di Hugo Chavez agli inizi del 2013, i bond 2027 quotavano ancora sopra la pari.

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