Dopo la bozza della manovra di Bilancio, il testo passa ora al vaglio parlamentare. Un passaggio tutt’altro che formale, perché è proprio in Parlamento che possono essere apportate modifiche ai provvedimenti inseriti nella bozza della legge di Bilancio. Esistono gli emendamenti, cioè proposte correttive che possono arrivare dai parlamentari, ma anche da soggetti esterni che orientano il dibattito politico ed economico.
Oggi analizziamo una proposta della UIL, uno dei maggiori sindacati italiani. La proposta riguarda il settore previdenziale e punta a un ritorno della pensione a 58 anni nel 2026 per una platea ampia di lavoratrici. L’idea è di riportare in vita Opzione Donna nella sua forma originale, senza i correttivi che negli ultimi anni ne hanno ridotto la convenienza.
Il ritorno della pensione a 58 anni nel 2026, ecco come
Tornerà davvero la pensione a 58 anni per le lavoratrici nel 2026? Al momento la risposta è no, ma la UIL ha presentato un emendamento che riaccende il dibattito politico. La mancata previsione di Opzione Donna nella manovra di Bilancio ha infatti scatenato polemiche e richieste di ripristino.
Dal momento che la manovra è ancora in discussione, molte cose potrebbero cambiare. E reintrodurre Opzione Donna nel 2026 non sarebbe un’operazione complessa. Tuttavia, la UIL non propone una semplice proroga, ma una versione più ampia e inclusiva, simile a quella esistente negli anni in cui la misura era davvero conveniente.
Pensioni a 58 anni per le donne, ecco come con il ritorno a Opzione Donna delle origini
Tornare a Opzione Donna com’era alle origini significherebbe consentire nuovamente a tutte le lavoratrici di accedere alla misura, senza limiti legati ai figli né restrizioni di categoria.
L’unica differenza riguarderebbe ancora una volta le lavoratrici autonome, per le quali l’età richiesta sarebbe superiore di 12 mesi.
Molto diverso rispetto a oggi, perché l’Opzione Donna tuttora valida fino al 31 dicembre riguarda solo:
- invalide con almeno 74% di invalidità riconosciuta;
- caregiver che convivono da almeno 6 mesi con un familiare con disabilità grave;
- licenziate o dipendenti di aziende che abbiano attivato tavoli di crisi presso il Ministero competente.
Una misura, quella del 2025, non solo molto più limitata, ma anche meno conveniente dal punto di vista dell’età di uscita.
Infatti, l’età minima è 59 anni con 35 anni di contributi, da maturare entro il 2024 per uscire nel 2025. E per invalide e caregivers i 59 anni valgono solo se si hanno più figli. Senza figli si sale a 61 anni, con un figlio a 60.
Un netto cambio di passo per la misura nel 2026 se venisse riportata alle origini
Ripristinare la versione originaria di Opzione Donna significherebbe ampliare enormemente la platea delle beneficiarie. Le lavoratrici dipendenti, sia del settore privato sia del pubblico, potrebbero andare in pensione con 58 anni di età e 35 anni di contributi maturati entro la fine del 2025.
Per le autonome, come previsto nella misura storica, servirebbe un anno in più: uscita a 59 anni, sempre con 35 anni di versamenti da raggiungere entro il 2025.
La misura, se tornasse agli albori, potrebbe ritornare a essere molto utilizzata, al contrario degli ultimi anni in cui le uscite sono state pochissime.
E non verrebbe intaccato l’aspetto fondamentale di Opzione Donna: l’accettazione, da parte delle lavoratrici, di un calcolo contributivo integrale dell’assegno pensionistico, in cambio della possibilità di lasciare il lavoro molti anni prima.