Il tema del rimborso chilometrico continua a generare dubbi tra i professionisti, soprattutto in relazione alla sua corretta gestione fiscale. Con la risposta n. 270 del 23 ottobre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito un importante chiarimento, specificando che anche quando il rimborso è calcolato in modo oggettivo, se non risulta adeguatamente documentato, deve essere considerato parte del reddito di lavoro autonomo e soggetto a ritenuta d’acconto.
Rimborso chilometrico: il caso esaminato dall’Agenzia
Un libero professionista aveva emesso una fattura a una società cliente includendo sia il compenso per la propria attività di consulenza, sia un rimborso spese chilometrico. Quest’ultimo era stato stabilito in anticipo con il committente, sulla base dei chilometri percorsi e di una tariffa concordata.
Il rimborso era stato inoltre assoggettato a IVA.
Il contribuente ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito al corretto trattamento fiscale di tale somma. In particolare, si domandava se fosse sufficiente documentare il calcolo dei chilometri percorsi e i parametri applicati, oppure se fosse necessario produrre ulteriori giustificativi, come scontrini del carburante o altre prove di spesa.
Il riferimento normativo: l’articolo 54 del TUIR
La risposta dell’Agenzia si basa sull’articolo 54 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che stabilisce il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro autonomo. Ciò significa che tutte le somme percepite dal professionista durante il periodo d’imposta devono essere considerate reddito, salvo espresse eccezioni.
Tra queste eccezioni, il secondo comma dell’articolo 54 prevede la possibilità di escludere dal reddito i rimborsi spese, ma solo se tali somme sono addebitate in modo analitico e documentate.
È quindi necessario che le spese siano indicate separatamente in fattura e che esista una chiara prova del loro effettivo sostenimento per l’esecuzione dell’incarico.
Il principio dell’analiticità dei rimborsi
L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che l’analiticità non può essere ridotta a un calcolo teorico basato unicamente su chilometri percorsi e tariffa al chilometro. Perché il rimborso chilometrico possa essere escluso dal reddito, è indispensabile che sia corredato da una documentazione precisa, tale da consentire un controllo concreto sulla coerenza e sull’effettiva connessione della spesa all’attività professionale.
In pratica, non basta indicare la distanza percorsa o l’importo totale dovuto. Servono prove che attestino la reale effettuazione degli spostamenti, come agende di lavoro, ordini di servizio, relazioni sulle attività svolte o ricevute fiscali per carburante, pedaggi e parcheggi. Solo in presenza di elementi oggettivi e verificabili si può parlare di rimborso analitico.
Rimborso chilometrico: le novità introdotte dalla riforma fiscale del 2025
Il chiarimento si inserisce nel contesto della più ampia riforma fiscale avviata con il decreto legislativo n. 192 del 2024, che ha modificato il regime dei rimborsi spese nel lavoro autonomo. L’obiettivo del legislatore è stato quello di rendere più equo il trattamento fiscale. Evitando così che vengano tassate somme che non rappresentano un vero guadagno per il professionista. LA riforma ha interessato anche i rimborsi trasferte ai lavoratori dipendenti.
Tuttavia, per garantire la trasparenza e impedire comportamenti elusivi, la normativa ha stabilito che solo i rimborsi analitici e documentati possono beneficiare dell’esclusione dal reddito imponibile. Di conseguenza, i rimborsi forfettari, o quelli privi di adeguata prova documentale, continuano a essere considerati parte del compenso.
Le conseguenze fiscali della mancata documentazione
Nel caso oggetto della risposta n. 270/2025, l’Agenzia ha ritenuto che il rimborso chilometrico indicato in fattura, pur essendo stato concordato e calcolato in modo oggettivo, non rispettasse il requisito dell’analiticità. Mancavano infatti elementi di supporto che dimostrassero l’effettivo sostenimento delle spese.
Di conseguenza, la somma rimborsata deve essere inclusa nel reddito di lavoro autonomo e soggetta alla ritenuta d’acconto prevista dalla legge. In altre parole, il rimborso assume natura di compenso professionale e deve essere tassato come tale.
Rimborso chilometrico: implicazioni pratiche per i professionisti
La pronuncia dell’Agenzia delle Entrate rappresenta un importante monito per tutti i professionisti che ricevono rimborsi per spese di viaggio o di trasferta. È fondamentale conservare ogni documento utile a dimostrare la correlazione tra la spesa sostenuta e l’attività svolta.
L’assenza di prove concrete può infatti comportare l’inclusione dei rimborsi nel reddito imponibile, con conseguente aumento della tassazione.
Tra le buone pratiche da seguire rientrano:
- la separazione in fattura tra compensi e rimborsi spese;
- la conservazione di ricevute, scontrini e documenti che provino le spese effettivamente sostenute;
- la predisposizione di report o note spese dettagliate con indicazione delle tratte percorse e delle motivazioni professionali dello spostamento.
Riassumendo
- Il rimborso chilometrico senza documentazione adeguata è tassato come reddito professionale.
- L’Agenzia delle Entrate chiarisce i requisiti per l’esclusione dal reddito imponibile.
- Serve documentazione analitica che dimostri le spese effettive e legate all’attività.
- L’articolo 54 TUIR prevede eccezioni solo per rimborsi analitici e separati in fattura.
- La riforma fiscale 2025 conferma l’obbligo di trasparenza nei rimborsi professionali.
- Senza prove concrete, il rimborso chilometrico è soggetto a ritenuta d’acconto.