Si avvicina la riunione del board per la Banca del Giappone, in programma il prossimo 18-19 dicembre, e che sta già mandando in orbita i rendimenti sovrani. La scadenza a 10 anni è ad un soffio dalla soglia del 2%, mentre il bond a 2 anni offriva al termine della seduta di oggi quasi l’1,07%. Appena sotto il 3,40% la scadenza a 30 anni. Il mercato ritiene probabile che il governatore Kazuo Ueda annunci un aumento dei tassi di interesse dallo 0,50% attuale allo 0,75%.
Premio per bond lunghi in crescita
Con un’inflazione al 3% in ottobre, sarebbe persino poco. Ma il Giappone ha un debito pubblico salito fin sopra il 250% del Pil, per cui bastano variazioni dei rendimenti anche minimi per impattare sul bilancio attraverso la spesa per interessi. I punti di forza sul piano fiscale sono essenzialmente tre: tutto il debito è denominato in yen; il 90% di esso è in mano agli investitori domestici (oltre la metà della stessa banca centrale); la posizione finanziaria netta con l’estero è estremamente positiva, segno dell’abbondanza di capitali con cui eventualmente rinnovare le scadenze.
Tutti a guardare i tassi, ma da un’angolatura sbagliata. E se dovessimo temere la loro permanenza ai bassi livelli attuali, anziché la loro risalita? Guardate questi numeri. I rendimenti a 30 anni in Giappone oggi offrono un premio di 231 punti base (2,31%) rispetto ai rendimenti a 2 anni. I primi riflettono le aspettative d’inflazione e la situazione fiscale, mentre i secondi la politica monetaria. Un anno fa esatto, il premio era di 166 punti (1,66%). Da allora è aumentato dello 0,65%. Guarda caso, si tratta esattamente dello stesso incremento subito dall’inflazione tendenziale da ottobre ad ottobre.
Tassi bassi e deficit alto
Il deficit di bilancio continua a salire, anziché scendere. E la nuova premier Sanae Takaichi ha varato un piano da 21.300 miliardi di yen (circa 117 miliardi di euro) per stimolare l’economia nipponica. Il mercato sembra incorporare aspettative d’inflazione crescenti, fiutando che la Banca del Giappone vorrà tenere a bada i rendimenti a breve termine mantenendo i tassi più o meno stabili. Se a Tokyo ci fosse una reazione più vigorosa alla crescita dei prezzi, parte del premio richiesto per l’acquisto dei bond a lunga scadenza si sgonfierebbe.
In pratica, tassi più alti porterebbero a rendimenti a breve anch’essi più alti e rendimenti a lungo in Giappone un po’ più bassi. La curva delle scadenze si appiattirebbe o finirebbe persino per inclinarsi negativamente con una maxi-stretta. Ma nulla di tutto questo sta accadendo. Il lassismo fiscale fa il resto. Non c’è tanto il rischio che il governo non ripaghi i suoi debiti, quanto che debba offrire sempre più per attirare i capitali. Gli investitori domestici non stanno rimpatriando i loro capitali, perché ancora non vedono toccato il punto minimo per i bond.
Rendimenti in Giappone colpiscono borse e bond mondiali
Una stretta sui tassi più efficace spaventa anche il resto del mondo. Da decenni si costruiscono posizioni in borsa grazie al “carry trade“.
Si calcolano in 20.000 miliardi di dollari. Denaro preso a prestito in Giappone a tassi risibili per essere investito in USA ed Europa, dove i rendimenti di mercato sono stati più alti. Ora che le principali banche centrali tagliano i tassi e il Giappone li alza, questo meccanismo non funziona più. Il meccanismo si è inceppato e scoraggia gli investimenti a Wall Street, penalizzando particolarmente il comparto tech. Gli stessi bond in Occidente soffrono, dovendo fare i conti con la concorrenza prima inesistente degli omologhi nipponici.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

