Un’opera d’arte rimasta di proprietà privata fino a ieri, quando è stata battuta all’asta per la cifra ragguardevole di 236,4 milioni di dollari. La più alta di sempre nella storia della case d’aste londinese Sotheby’s e anche per un dipinto moderno. Il record assoluto, tuttavia, resta il Salvator Mundi di Leonardo, battuto da Christie’s nel 2017 per 450 milioni di dollari. E’ il quadro di Gustav Klimt dal titolo “Elisabeth Lederer”, che ritrae la figlia di una delle più ricche famiglie viennesi prima che l’Austria fosse annessa alla Germania nazista. Alto 1,80 metri, fu realizzato in tre anni dal 1914 al 1916 ed è appartenuto a Leonard Lauder, magnate americano a capo del colosso dei cosmetici The Estée Lauder Companies.
Collezione privata di Lauder
Lauder è morto nel giugno scorso all’età di 92 anni ed era noto per la sua filantropia e per essere un collezionista di opere d’arte. Proprio il combinato tra un quadro di Klimt e la sua appartenenza a una collezione di Lauder avrebbe fatto impennare la cifra. Sotheby’s si aspettava di raccogliere 150 milioni, ma dopo 20 minuti di rilanci, tra cui un cliente in collegamento telefonico, la previsione è stata superata ampiamente. I 24 pezzi di Lauder battuti all’asta hanno raccolto complessivamente 528 milioni. Le stime erano per 379 milioni. Le sole 5 opere di Klimt hanno raccolto 392 milioni.
La cifra monstre per il quadro di Klimt arriva dopo che la settimana scorsa sempre Sotheby’s aveva battuto all’asta il Blue Mellon da 9,51 carati per 25,6 milioni di dollari. Il diamante era appartenuto a Rachel Lambert Mellon, una ricca donna americana morta nel 2014 all’età di 104 anni. Anche in quel caso il successo era stato dovuto in gran parte alla nomea della proprietaria iniziale, sebbene già il gioiello fosse stato battuto all’asta per 32,6 milioni nel 2014.
Opere d’arte beni rifugio
Le ricche offerte sembrerebbero cozzare con le incertezze dell’economia globale in questa fase. Ciò sarebbe vero, però, se i partecipanti alle aste rispecchiassero la composizione sociale del pianeta, cosa che evidentemente non è. Ad ogni modo, gli esiti alle aste ci possono segnalare qualcosa in un senso o nell’altro. Le opere d’arte come il quadro di Klimt sono beni rifugio similmente all’oro. Hanno un mercato molto meno liquido, tant’è che i passaggi di mano sono scarsi e avvengono anche a distanza di decenni l’uno con l’altro per lo stesso oggetto.
Questa corsa all’acquisto alle aste di opere d’arte potrebbe suggerire, quindi, che l’élite industriale e finanziaria globale, l’unica che possa permettersi di spendere cifre di questo livello, sia in allerta. Per cosa? Teme i dazi, le tensioni geopolitiche, i debiti crescenti degli stati e i riflessi negativi sui mercati finanziari. Il boom dell’oro di questa fase non fa altro che fungere da termometro della crisi percepita. E le opere d’arte non sono poi così diverse. Dietro c’è certamente il gusto e la ricercatezza di una cerchia ristretta di filantropi e collezionisti, ma le motivazioni economiche spesso non mancano.
Quadro di Klimt segnale recessivo?
Mettersi in casa un quadro di Klimt equivale a scommettere il capitale sulla crescita del suo valore di mercato nel tempo. E questa è una tendenza ben consolidata specialmente in tempi difficili. Quando l’economia gira e c’è ottimismo, i detentori dei capitali li investono in finalità più “produttive” o scommettono sulle borse. Potrebbe esserci il pessimismo dietro al successo del quadro di Klimt all’asta, così come a numerose altre opere battute in questi giorni. E se l’umore non è buono tra coloro chi possiede fortune per centinaia di milioni, c’è da stare attenti.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
