Carlo Cracco nel mirino delle proteste dei giovani attivisti di Ultima Generazione, che negli ultimi giorni hanno preso d’assalto il suo ristorante nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano. La sua “colpa” consisterebbe nel fissare prezzi alti per i menù, in barba a milioni di famiglie italiane in difficoltà. La vetrina del locale è stata imbrattata con salsa di pomodoro in almeno un’occasione, mentre in altre diversi esponenti hanno inscenato un sit-in davanti all’ingresso e sono entrati per spiegare ad alta voce le loro ragioni a dipendenti, titolare e avventori.
Proteste contro Cracco di Ultima Generazione
“Non siamo delinquenti, siamo in rappresentanza di lavoratori, studenti, pensionati e disoccupati”, afferma uno dei giovani in un video che gira sul web.
A parte che la rappresentatività di queste categorie appare del tutto autoreferenziale, Ultima Generazione ha chiesto a Cracco nel corso delle proteste di dar vita almeno una volta a settimana al pranzo sospeso. In pratica, vorrebbero imporre a un imprenditore la solidarietà. Come se pagare le imposte allo stato non servisse a finanziare proprio i servizi alla cittadinanza.
Lusso oggetto di riprovazione sociale
Oggetto di scherno delle proteste anti-Cracco è il “lusso”. Sarebbe una vergogna, a sentire questi ragazzi, che una pizza Margherita costi 22 euro. “Una cena costa quanto un affitto”, lamentano. Per caso qualcuno estorce il denaro ai commensali o si tratta di libera scelta? Un modo di pensare non così settario come immaginiamo. In un Paese dove certo cattolicesimo fa rima con cultura pauperistica, i sentimenti di ostilità al lusso sono più radicati di quanto pensiamo.
Peccato che il lusso sia fondamento di quel Made in Italy famoso nel mondo e che permette a milioni di lavoratori italiani di mettere insieme pranzo e cena.
I partecipanti alle proteste contro Cracco probabilmente hanno un pensiero assai limitato sul tema. Ad esempio, non sarebbe lusso anche una Ferrari o l’iPhone? Se sì, dovremmo vietare alle persone di acquistarli, stando al loro ragionamento. E lo stesso dicasi di certi prodotti DOP della nostra filiera agroalimentare, apprezzati ovunque per la loro qualità e pagati spesso con cifre sostenute. Chissà che qualche ripresa video questi attivisti non l’abbiano girata proprio con il telefonino di Apple!
Libero mercato, questo sconosciuto
Cracco ha risposto alle proteste con ironia. Ha negato il pranzo sospeso, ma in cambio ha affermato di offrire visibilità a questi attivisti. Siamo all’assurdo che un imprenditore debba giustificare all’interno della sua azienda la propria attività a persone che entrano con intenti ostili. Persone, va detto, che non hanno la minima idea di come funzioni l’economia. I prezzi li fissa il mercato. Se Cracco non trovasse clienti disposti a pagargli quelle cifre, dovrebbe abbassare i prezzi o chiudere. Invece, li trova. I clienti che mettono piede nel suo locale sono contenti di spendere per mangiare i piatti gourmet preparati da uno dei più famosi e talentuosi chef italiani.
Che si tratti di ostentazione o di vera passione per la sua cucina, poco importa. Cracco crea posti di lavoro, mentre chi inscena contro di lui proteste risibili avrebbe ben altro di cui occuparsi se tutti gli imprenditori del lusso chiudessero battenti. Bisognerebbe spiegare a questi ragazzi, la cui giovane età non è una scusante, che l’unica lotta giusta contro i prezzi alti deve essere ingaggiata contro i monopoli. Quando sul mercato esiste un solo soggetto che offre un prodotto o un servizio, il consumatore non ha possibilità di scelta. O paga o non consuma. E di monopoli ve ne sono più di quanti immaginiamo, specie in tempi di Big Tech.
Proteste contro Cracco pensiero ostile all’impresa
Sarebbe sbagliato derubricare le proteste contro Cracco ad episodi che riguardano quattro ragazzi. Sono la spia di un pensiero violento, che mira a limitare le libertà altrui nel nome di una presunta solidarietà. Non c’è nulla di divertente nell’imbrattare la vetrina di un locale, disturbando gente che dentro vi lavora o che consuma. Non c’è nulla di pacifico nell’entrare urlando in casa d’altri, reclamando attenzioni e tempo. Questa è sopraffazione e non ha alcunché da spartire con la solidarietà e il senso civico. Fa tremare lo scarso rispetto per la cultura d’impresa che esiste in Italia. Se un imprenditore deve dare spiegazioni a gente senza titolo, siamo messi peggio di quanto temevamo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
