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Oggi: 13 Dic, 2025

Privatizzazione Poste: perché il MEF potrebbe cedere una fetta del capitale nel 2026

Poste Italiane nel mirino del Tesoro per una possibile privatizzazione parziale con la vendita di una quota minoritaria.
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Privatizzazione di Poste Italiane nel 2026?
Privatizzazione di Poste Italiane nel 2026? © Investireoggi.it

Il 2026 potrebbe essere l’anno della cessione di una seconda privatizzazione di Poste Italiane con la cessione di una partecipazione del Ministero di Economia e Finanze (MEF). Il Tesoro detiene direttamente il 29%, mentre oltre il 35% è in mano a Cassa depositi e prestiti (CDP), ente a sua volta controllato dallo stesso Tesoro. In totale, il 64,3% del capitale dell’istituto è in mani pubbliche. Il governo di Giorgia Meloni ha previsto sin dallo scorso anno la vendita di una partecipazione, ma senza rischiare di perdere il controllo. Questo significa che il combinato tra la quota in mano al Tesoro e quella di CDP non dovrà scendere sotto il 50% più un’azione.

Privatizzazione di Poste decisa nel 2024

Prima che fosse varato l’apposito Dpcm nel settembre del 2024, si era vociferato dell’ipotesi più spinta della vendita totale della partecipazione del Tesoro. Aveva fatto scalpore l’incontro tenutosi a Palazzo Chigi tra la premier e il capo di BlackRock, Larry Fink. Parte della stampa lo aveva collegato al presunto interesse del finanziere per Poste Italiane alla vigilia di una ulteriore privatizzazione. La società è quotata in borsa sin dal 2015. Sotto il governo Meloni le sue azioni sono esplose del 152%, accrescendo la capitalizzazione di quasi 16,4 miliardi e portandola a quota 27,11 miliardi.

Pazienza positiva per conti pubblici

Questo significa che l’intera partecipazione del Tesoro vale oggi sui 7,86 miliardi. Poiché abbiamo detto che la privatizzazione di Poste non potrà spingersi fino a far scendere la quota pubblica sotto il 50%, ciò implica che la cessione riguarderà al massimo il 14% del capitale. Ai prezzi di borsa attuali, lo stato incasserebbe 3,8 miliardi.

Sarebbe un grosso contribuito per i conti pubblici e farebbe avanzare il piano di privatizzazioni da 20 miliardi in tre anni, promesso da Roma a Bruxelles sin dal 2023.

Ci si aspettava che la seconda privatizzazione di Poste arrivasse quest’anno, ma evidentemente il governo ha temporeggiato per massimizzare il possibile incasso. Con il boom del titolo in borsa, meglio attendere che i prezzi abbiano verosimilmente toccato l’apice per evitare di svendere. La fretta avrebbe fatto commettere un errore grave lo scorso anno. Lo stato avrebbe incassato il 60% di quanto potrebbe oggi. L’operazione ha un senso anche industriale: la società guidata da Matteo Del Fante è già saldamente in mani pubbliche; non c’è bisogno di possedere una quota complessiva così elevata.

Italia tornata appetibile all’estero

Fare entrare nuovi capitali privati serve anche a rendere più attrattivi il sistema Italia e Piazza Affari. Questo è un momento favorevole all’Italia. Lo spread è sceso ai minimi dal 2009 e le agenzie di rating promuovono i nostri titoli di stato. I conti pubblici migliorano e la crescita, per quanto bassa, resiste alle intemperie internazionali. I capitali stranieri sono tornati ad affluire in abbondanza sul nostro mercato sovrano. Cedere asset e partecipazioni non strategici può consolidare questa tendenza positiva.

Molto probabilmente, la privatizzazione di Poste avverrebbe attraverso una procedura nota come “accelerated bookbuilding”.

Significa che lo stato non venderebbe la partecipazione sul mercato, ma per stringere sui tempi ed evitare grossi contraccolpi al titolo aprirebbe un collocamento tramite intermediari finalizzato ad attirare ordini cospicui da soggetti qualificati. E’ stato l’iter utilizzato in questi anni per la privatizzazione di Monte Paschi. L’ultima operazione tenutasi nel novembre del 2024 è finita sotto le lenti dei magistrati per un possibile concerto tra la stessa banca senese, Delfin e l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone.

Effetti da privatizzazione su azioni Poste

La privatizzazione di Poste con la cessione di un’ulteriore quota rilevante può avere effetti sullo stesso titolo. Può gravare sulle quotazioni se avvenisse, in particolare, tramite un’operazione di mercato. Con il tempo, però, assumerebbe una valenza positiva. Essa incrementerebbe il flottante, cioè la percentuale di azioni negoziate in borsa. E ciò si rifletterebbe sulla loro liquidità, rendendo gli scambi più veloci e i prezzi più efficienti. A meno che la vendita fosse riservata a uno o pochi soggetti, i quali diverrebbero nuovi soci stabili e senza per questo accrescere il numero delle azioni scambiate quotidianamente.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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