Quando si parla di BTp “Matusa”, il pensiero corre alla scadenza del 2072 e che debuttò sul mercato sovrano nella primavera del 2021. In realtà, la prima emissione a 50 anni risale all’ottobre del 2016 ed ebbe ad oggetto un BTp con scadenza 1 marzo 2067 (ISIN: IT0005217390). Il suo successore l’ha messo in penombra, tant’è che difficilmente ormai se ne parla sui quotidiani finanziari. Meriterebbe, invece, maggiore considerazione da parte degli investitori.
Grosse oscillazioni di prezzo
Il BTp 2067 quotava ieri sul mercato secondario meno di 72 centesimi, per cui lo si acquistava ancora a sconto del 28%. Un valore più alto del BTp 2072, che nelle stesse ore viaggiava sotto i 60 centesimi.
La differenza non è tanto nella durata più corta di cinque anni, quanto nella cedola più alta. Paga il 2,80% lordo all’anno contro il 2,15%. Al netto dell’imposta e rapportata alla quotazione, diventa un buon 3,41% contro il 3,16% del BTp 2072. Un quarto di punto percentuale in più ogni anno fino alla scadenza.
Il BTp 2067 ha subito grosse oscillazioni di prezzo dalla sua emissione. L’apice lo toccò agli inizi del 2021 a più di 135, mentre il minimo lo raggiunse nell’ottobre del 2023 a poco più di 59 centesimi. Per capirci, chi ebbe la sfortuna e l’imprudenza di acquistare ai massimi per rivendere ai minimi, accusò perdite per circa il 56%. Sono i grossi rischi che si corrono con i bond a lunga scadenza, specialmente se con basse cedole. L’elevata “duration” espone i prezzi a variazioni anche enormi ai minimi mutamenti del rendimento.
Perdita con disinvestimento
E se volessimo trarre un bilancio dall’emissione di oltre nove anni fa? Essa avvenne ad un prezzo appena sotto la pari di 99,194 centesimi e con data di godimento degli interessi fissata all’1 settembre 2016.
Da allora l’ipotetico investitore cassettista avrebbe incassato cedole per un valore superiore al 22% del capitale sborsato. Anche se questi ultimi anni hanno visto l’inflazione riprendersi la scena, la perdita del potere di acquisto è stata un po’ più bassa: 21,4%. Il BTp 2067 avrebbe sin qui garantito la protezione del capitale dall’erosione dei prezzi al consumo.
Il problema sorgerebbe nel caso di rivendita. Poiché la quotazione è sprofondata, essa avverrebbe in forte perdita del 24% netto. A quel punto, l’investitore esiterebbe un bilancio disastroso. Non solo dopo oltre nove anni non becca alcun rendimento, ma ci rimette quasi un quarto del capitale. Meglio attendere tempi migliori? I rendimenti a lungo termine potrebbero scendere nei prossimi anni, per cui i prezzi risalirebbero. Immaginare, però, che tendano alla pari per scadenze come il BTp 2067 sarebbe un’illusione.
BTp 2067 difficilmente vicino alla pari
Il Tesoro ebbe la fortuna e la furbizia di rifinanziarsi a lunghissima scadenza quando i tassi erano molto bassi (addirittura, negativi) insieme all’inflazione. Ora i tassi sono più alti del 2,40% rispetto ad allora. E l’inflazione italiana non è più azzerata, ma all’1,2% nello scorso mese di ottobre. Il ritorno alle condizioni di mercato del 2016 o anche del 2020-2021 appare remoto, perlomeno da qui al medio termine. Il BTp 2067 resterà quasi certamente ben sotto la pari nei prossimi mesi e anni. Il possessore deve sperare che l’inflazione italiana si abbassi ulteriormente, la quotazione salga e le nuove cedole nel frattempo godute minimizzino o annullino le perdite registrate con l’eventuale disinvestimento.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

