Un altro record sul mercato delle materie prime e questa volta riguarda i prezzi del rame, saliti a 11.435 dollari per tonnellata. Il rialzo di quest’anno supera il 34%. Alla base del trend positivo c’è senza dubbio il deficit dell’offerta, stimato per il 2025 in 34.000 tonnellate e atteso ancora più alto per l’anno prossimo. In pratica, la produzione del metallo raffinato resta inferiore alla domanda. Inevitabili le pressioni sulle quotazioni.

Principali metalli tutti in crescita
Il rame è impiegato nella produzione di molti beni di consumo, specie nelle costruzioni.
La crescita dei suoi prezzi è considerato un segnale positivo per l’economia mondiale, in quanto capterebbe l’aumento della produzione industriale. Il boom di questi mesi, quindi, andrebbe interpretato con ottimismo? La realtà ci dice altro. In primis, poiché le quotazioni internazionali sono espresse in dollari, risentono del cambio americano. Esso perde in media oltre il 9% contro le principali valute mondiali, rendendo i prezzi del rame più bassi per gli acquirenti extra-USA.
E non è tutto. I prezzi del rame non sono gli unici a salire e segnare nuovi record. Accade ormai da tempo all’oro, riportatosi sopra i 4.200 dollari per oncia. Per non parlare dell’argento, che questa settimana ha sfiorato i 59 dollari per oncia, frantumando ogni massimo storico precedente e mettendo a segno un rialzo da inizio anno fin sopra il 101%. Ecco, il fatto che tutti i principali metalli siano rincarati fino a segnare nuovi record, non è un buon segnale. Significa che sui mercati internazionali si è scatenata una corsa all’acquisto quasi indiscriminato per mettersi al riparo dalle incertezze globali.
Cresce avversione al rischio
Tra dazi, guerre, debiti in forte crescita ed economie stagnanti c’è un clima tutt’altro che di ottimismo tra gli investitori. Se confrontiamo i prezzi del rame con quelli dell’oro (entrambi in tonnellate), scopriamo che il rapporto è sceso ai minimi da diversi decenni a questa parte. E questo è un segnale esplicitamente negativo per l’economia mondiale. Svela che l’avversione al rischio prevale sull’ottimismo per lo stato di salute dell’economia. Al contrario, un rapporto crescente segnala un aumento della propensione al rischio, che è tipica delle fasi espansive.

A complicare il discorso ci si mette un altro rapporto, tra oro e argento. Stava sopra 100 in aprile, all’annuncio dei dazi di Trump. Ieri, si aggirava attorno a 73. Storicamente, un rapporto sotto 80 fa scattare un segnale di acquisto per l’oro. Il dato ci direbbe che vi sarebbe ottimismo sulla produzione mondiale, di cui l’argento è un fattore importante per beni come l’elettronica, pannelli solari e motori di auto elettriche. Questa deduzione cozza con quanto appena scritto sui prezzi del rame. Anche in questo caso, però, più che di ottimismo per l’economia mondiale ci sarebbe una diversificazione degli acquisti dopo che l’oro ha segnato un boom di oltre il 120% in cinque anni.
Prezzi del rame segnale preoccupante
Quando il mercato si mette a comprare preziosi e poi passa ai metalli industriali veri e propri, sono dolori per i consumatori. Sembra un film già visto subito dopo la fase acuta della pandemia e prima ancora dopo la crisi finanziaria del 2008-’09. In entrambi i casi c’era alla base la sfiducia verso le banche centrali e le monete fiat da loro emesse in grosse quantità. Ne hanno fatto le spese le famiglie, ritrovatesi a fronteggiare tassi d’inflazione elevati. Nel primo caso, il fenomeno riguardò le economie emergenti con tanto di Primavere Arabe esplose per reazione al carovita. Nel secondo, colse di sorpresa un po’ tutte le economie con conseguenze visibili ancora oggi quando facciamo la spesa.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


