Una volta, nel lessico comune di tutti i contribuenti, si parlava di pensione delle casalinghe per indicare il principale strumento assistenziale che l’INPS eroga a chi ha superato l’età pensionabile: la pensione sociale. Oggi questa misura ha cambiato nome, ma non formula. Si chiama infatti assegno sociale, ed è una prestazione che può essere richiesta a partire dai 67 anni di età, la stessa prevista per le pensioni di vecchiaia ordinarie.
Generalmente si dice che l’assegno sociale spetti a chi, per mancanza di contributi o per altri requisiti, non ha diritto alla pensione di vecchiaia. Tuttavia, vedremo come l’assegno sociale possa rappresentare anche una scelta consapevole e conveniente.
Lo dimostriamo partendo dal quesito di una nostra lettrice, che coglie in pieno il nodo cruciale della questione.
“Buonasera, mi chiamo Emanuela e sto per compiere 67 anni. Nella mia carriera non ho lavorato tanto, ma comunque ho raggiunto i 20 anni di contributi, che dovrebbero garantire il trattamento di vecchiaia. Ora però ho un dubbio. Visto che ho lavorato spesso con salari bassi, part-time e con contratti davvero pessimi, vorrei capire se non sia più conveniente, per me, chiedere l’assegno sociale al posto della pensione di vecchiaia. Non credo che, con i miei contributi, supererò i 530 euro di pensione al mese. A questo punto, non è meglio l’assegno sociale?”
Pensione o assegno sociale: ecco a chi conviene l’una o l’altra misura
Il dubbio della nostra lettrice farebbe invidia ad Amleto, tanto è difficile oggi capire quale delle due prestazioni risulti più vantaggiosa.
Il primo passo è verificare quando la lettrice ha iniziato a lavorare, ovvero quando risulta il primo accredito contributivo.
Se la carriera è iniziata prima del 1996, e se i redditi sono stati davvero bassi come ipotizzato, Emanuela potrebbe avere diritto alla pensione di vecchiaia con maggiorazioni sociali e integrazione al trattamento minimo. Nel 2025, quest’ultimo porta l’importo mensile minimo a circa 603 euro. In tal caso, la pensione di vecchiaia sarebbe la scelta migliore, anche rispetto all’assegno sociale, che nello stesso anno ammonta a 538,69 euro al mese.
Inoltre, per ottenere l’assegno sociale nella sua misura piena, è necessario non percepire alcun reddito personale o, in caso di matrimonio, avere un reddito cumulato con il coniuge inferiore a 530 euro al mese. Se il reddito personale o cumulato supera tali soglie, l’assegno sociale si riduce proporzionalmente, integrando solo fino a raggiungere il tetto dei 538,69 euro.
Per i contributivi puri: meglio fare bene i conti sulla convenienza
Il discorso cambia per chi ha cominciato a versare contributi dopo il 1995, i cosiddetti contributivi puri. In questo caso, la pensione viene calcolata interamente con il metodo contributivo, che è più penalizzante rispetto a quello retributivo. Di conseguenza, l’importo iniziale è spesso più basso.
Ma c’è di più: i contributivi puri non hanno diritto all’integrazione al minimo né alle maggiorazioni sociali, anche se l’importo della pensione dovesse risultare molto basso. È una regola rigida del sistema contributivo.
Inoltre, per accedere alla pensione di vecchiaia contributiva è necessario raggiungere un importo minimo pari all’assegno sociale. In caso contrario, la prestazione non viene erogata.
Per questo motivo, chi rientra nel sistema contributivo puro, a parità di condizioni reddituali, potrebbe trovarsi nella situazione in cui l’assegno sociale risulti più conveniente della pensione di vecchiaia.
La scelta, in definitiva, dipende dall’importo effettivamente maturato. Solo facendo bene i conti, è possibile per i contributivi puri individuare la soluzione economicamente più vantaggiosa.