La possibilità di andare in pensione non dipende solo dal numero di anni di lavoro svolti, ma anche dal modo in cui questi anni vengono conteggiati ai fini contributivi. Un tema che spesso genera dubbi riguarda la pensione nel part-time, in particolare nei casi di lavoro verticale o ciclico, cioè quando l’attività non è continuativa durante tutto l’anno.
Negli ultimi anni l’INPS ha chiarito come questi periodi debbano essere considerati, riconoscendo pienamente il diritto dei lavoratori a vedere valorizzati i propri anni di servizio anche se prestati con orari ridotti o con periodi di inattività alternati.
Riconoscimento dei periodi di part-time ai fini della pensione
Chi lavora con un contratto di part-time verticale o ciclico può contare sul riconoscimento integrale dei periodi coperti dal contratto.
Ciò significa che, anche se non si lavora per tutte le settimane dell’anno, vengono comunque considerate 52 settimane contributive ai fini del diritto alla pensione.
In pratica, ogni anno di lavoro part-time è valido come un anno intero per maturare il requisito contributivo richiesto per accedere alla pensione. L’aspetto interessante è che sono considerate utili tutte le settimane comprese nel contratto, anche quelle in cui non è stata svolta attività lavorativa. Questo significa che un soggetto che ha 67 anni di età e 20 anni di lavoro tutti in part-time, può andare in pensione di vecchiaia ugualmente a chi ha lavorato sempre con il full-time.
Questa interpretazione ha permesso di superare una disparità che penalizzava molti lavoratori stagionali o impiegati in settori con attività discontinua, come la scuola o il turismo.
Periodi non lavorati e calcolo dei contributi
L’INPS ha precisato che, ai fini del diritto alla pensione, anche i periodi non lavorati in un contratto di part-time verticale devono essere riconosciuti.
Tuttavia, è importante distinguere tra diritto alla pensione e importo della pensione.
Il periodo di inattività contribuisce al raggiungimento del numero complessivo di settimane utili per la pensione, ma non incide sull’ammontare dei contributi versati. Questi, infatti, continuano a essere calcolati solo sulla base della retribuzione effettiva, cioè quella percepita nei periodi in cui si è realmente lavorato.
Di conseguenza, chi lavora meno settimane o con orari ridotti avrà un montante contributivo più basso, che potrà influire sull’importo finale della pensione. Il principio, quindi, è chiaro: il diritto si matura sull’intero periodo coperto dal contratto, ma il valore economico della pensione resta proporzionato alle somme effettivamente versate.
Il minimale contributivo: cosa succede se lo stipendio è basso
C’è però un altro aspetto importante da considerare: il cosiddetto minimale contributivo. Si tratta di una soglia di reddito stabilita ogni anno, al di sotto della quale i contributi non vengono riconosciuti per intero.
In pratica, se la retribuzione percepita è inferiore a questo minimo, i contributi settimanali utili per la pensione vengono ridotti proporzionalmente. Il calcolo si basa sul rapporto tra l’imponibile retributivo (cioè quanto è stato effettivamente guadagnato) e il minimale settimanale previsto per quell’anno.
Per esempio, se un lavoratore part-time guadagna la metà del minimale previsto, anche i contributi accreditati saranno pari a metà delle settimane teoriche.
Questo meccanismo può, quindi, ridurre il numero di settimane valide ai fini pensionistici, soprattutto per chi lavora con orari molto ridotti o percepisce stipendi bassi.
Comprendere questo passaggio è fondamentale per chi intende pianificare il proprio futuro previdenziale: non basta avere un contratto di lavoro attivo, ma è necessario anche che le retribuzioni superino i limiti minimi previsti per ottenere il pieno accredito contributivo.
Pensione nel part-time: differenze tra lavoratori privati e pubblici
Le regole sul riconoscimento della pensione nel part-time non valgono allo stesso modo per tutti. I dipendenti pubblici, infatti, sono soggetti a una disciplina specifica.
Per loro, gli anni di servizio prestati a orario ridotto sono pienamente validi ai fini del diritto e della misura della pensione, senza le limitazioni che invece si applicano nel settore privato. Ciò significa che anche chi ha lavorato part-time nella pubblica amministrazione non subisce riduzioni nel calcolo dei periodi utili alla pensione.
Questa differenza normativa nasce dal fatto che il pubblico impiego ha da tempo una regolamentazione autonoma, che riconosce la piena utilità dei periodi di lavoro, indipendentemente dal numero di ore settimanali svolte.
La nuova disciplina in vigore dal 2021
Il riconoscimento integrale dei periodi di part-time verticale e ciclico ai fini del diritto alla pensione è stato definitivamente introdotto da una nuova disciplina entrata in vigore nel 2021.
La novità più rilevante è che la norma si applica anche ai periodi di lavoro precedenti al 31 dicembre 2020. Tuttavia, in questi casi è necessario che il lavoratore interessato presenti una domanda all’INPS, utilizzando i servizi online messi a disposizione dall’Istituto.
Si tratta di un passaggio importante, perché consente di recuperare e valorizzare anni di lavoro che, in passato, non erano stati conteggiati in modo corretto. In questo modo si evita di perdere settimane contributive e si garantisce una maggiore tutela per chi ha svolto attività lavorative discontinua o stagionale.
Riassumendo
- I periodi di part-time verticale o ciclico valgono interamente per il diritto alla pensione.
- Anche i periodi non lavorati contano, ma influenzano l’importo solo in base alla retribuzione.
- Se lo stipendio è inferiore al minimale, i contributi settimanali vengono ridotti.
- I dipendenti pubblici hanno pieno riconoscimento dei periodi part-time senza riduzioni.
- Dal 2021 è in vigore una nuova disciplina sul part-time ai fini pensionistici.
- È possibile recuperare periodi precedenti al 2021 con domanda all’INPS online.