Il Tesoro ha emesso ieri un nuovo CcTeu con scadenza 15 ottobre 2030 per l’importo di 5 miliardi di euro. La domanda complessiva è stata di 10,7 miliardi, arrivata da oltre 100 investitori, di cui il 78,5% domestici. Il titolo, che offre cedola 0,75%, è stato prezzato a 99,739 centesimi, offrendo così uno spread di 78 punti base sull’Euribor a 6 mesi; questi ieri si attestava a poco più di -0,40%. A queste condizioni, il CcTeu rende all’emissione all’incirca 0,4%. Poiché il BTp di simile durata e cedola fissa offriva ieri un rendimento lordo superiore a 1,80%, ciò segnalerebbe che il mercato sconti un Euribor a 6 mesi medio di 1,4% per i prossimi 8 anni e mezzo.

Prima di ieri, il CcTeu più longevo sul mercato sovrano italiano era quello in scadenza il 15 aprile 2029 e con cedola dello 0,65% (ISIN: IT0005451361). Prima dell’ultima emissione, questo bond scambiava sul MoT di Borsa Italiana esattamente alla pari, a fronte di un Euribor a 6 mesi del -0,39%. Dunque, il rendimento lordo si aggirava a poco più dello 0,20%, chiaramente nel caso in cui il tasso di riferimento per calcolare la cedola restasse invariato alle date fissate per la corresponsione delle cedole semestrali.

CcTeu a prova di tassi BCE

Guardando al fatto che il rendimento del BTp con cedola fissa a 7 anni si aggirasse in area 1,6%, il differenziale di quasi l’1% ci segnalerebbe che questo sarebbe per il mercato il tasso Euribor a 6 mesi atteso in media da qui alla primavera del 2029. Un bel balzo in avanti rispetto al dato odierno. Dovete considerare che l’ultima volta che si attestò all’1%, fu ben 10 anni fa. Da 6 anni e mezzo, invece, giace sottozero. Evidentemente, il mercato scommette su un rialzo dei tassi BCE vigoroso nel medio-lungo termine.

Certo, prima della crisi finanziaria mondiale del 2008, l’Euribor a 6 mesi era schizzato sopra il 5%. Allora, le banche centrali non avevano ancora varato programmi monetari non convenzionali come il “quantitative easing”, con la sola significativa eccezione della Banca del Giappone.

Difficilissimo, però, che anche dopo la graduale normalizzazione monetaria avviata dalla Federal Reserve i tassi risalgano ai livelli pre-Lehman Brothers. Più probabile, invece, che prevalga una maggiore tolleranza verso i livelli d’inflazione. E, di fatti, il mercato non sconta un Euribor significativamente positivo nella media dei prossimi 7 anni.

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