Da quando c’è Mario Draghi a Palazzo Chigi, lo spread tra BTp e Bund non sembra più essere un problema. Il tema è uscito fuori dai radar delle cronache finanziarie. Il differenziale di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi a 10 anni è sceso inizialmente fin sotto 90 punti base o 0,90%, salvo risalire sopra 100 nelle ultime settimane. Stamattina, vale 106 punti. Agli sgoccioli del governo Conte, oscillava tra 110 e 120 punti. Il calo c’è stato, insomma, ma neppure così marcato.

In realtà, già con il varo del PEPP della BCE lo spread BTp-Bund si era dato una calmata.

Del resto, Francoforte sta acquistando tanto debito pubblico italiano quanto ne viene emesso dal nostro Tesoro, al netto delle scadenze da rinnovare. Tuttavia, un’analisi più puntuale ci porta ad affermare che lo spread reale tra Italia e Germania è praticamente raddoppiato dall’inizio di quest’anno. Vediamo perché.

A inizio gennaio, il rendimento a 10 anni del BTp era in area 0,55%, a fronte di un tasso d’inflazione a dicembre del -0,2%. Il rendimento reale italiano, pertanto, si aggirava intorno allo 0,75%. Nello stesso tempo, il Bund offriva -0,55% e l’inflazione tedesca era al -0,3%. Il rendimento reale tedesco risultava del -0,85%. Lo spread reale BTp-Bund era di 160 punti base o 1,60%.

Spread reale su con la reflazione

Oggi, abbiamo un rendimento italiano a 10 anni di poco superiore allo 0,60% e un’inflazione dell’1,3%. In Germania, il Bund decennale offre -0,45% e l’inflazione è salita al 2,3%. I rendimenti reali si attestano rispettivamente al -0,70% e -2,75%. Lo spread risulta così salito sopra 200 punti o 2%. Si è impennato in pochi mesi. E tutto questo è avvenuto sotto il governo di “Super Mario”. Dato il forte appeal riscosso dal nostro premier sui mercati, dovremmo supporre che se al suo posto vi fosse qualcun altro, lo spread nominale e reale sarebbe ben maggiore.

Che cos’è successo? Le graduali riaperture hanno aumentato la propensione al rischio degli investitori, che si sono spostati sulle azioni, almeno fino a metà maggio.

Nel frattempo, l’inflazione è aumentata ovunque e, insieme al rischio di condizioni monetarie meno espansive nelle principali economie mondiali, ha fatto salire i rendimenti obbligazionari. L’Italia ha pagato pegno più di altri sui timori di un debito pubblico meno gestibile con tassi d’interesse più alti. Basti pensare che oggi il Bonos a 10 anni della Spagna rende lo 0,25%, a fronte di un’inflazione domestica del 2,7% a giugno. In pratica, lo spread reale Bonos-Bund è crollato ad appena 25 punti, mentre quello tra Bonos e BTp è esploso in area 175 punti.

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