Il Kenya non sarà probabilmente il quarto paese africano a dichiarare default dall’inizio della pandemia dopo Ghana, Zambia ed Etiopia e, infatti, il suo Eurobond in scadenza nel mese di giugno (ISIN: XS1028952403) oggi segna un rialzo di prezzo superiore all’1% a quasi 98 centesimi. Ma il rischio di una ristrutturazione del debito esiste ancora tutto. Il presidente William Ruto è occupato su più fronti: deve cercare di portare a casa un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), al fine di evitare il crac finanziario.

D’altra parte, sta valutando l’ipotesi di uno swap obbligazionario per circa 310 milioni di dollari con l’obiettivo di alleggerire il pagamento dei 2 miliardi tra cinque mesi.

Accordo con FMI

L’FMI ha stanziato 624,5 milioni attraverso l’estensione di un programma già concordato l’anno scorso, a cui si aggiungono 60,2 milioni con il Resilience and Sustainability Facility. Se anche lo swap andasse bene, resterebbe da trovare un altro miliardo per coprire il pagamento di giugno. E con un rendimento a breve scadenza nell’ordine del 12,50%, una nuova emissione è esclusa. Tra i sei Eurobond del Kenya in circolazione sul mercato, il più longevo scade nel febbraio del 2048 per 1 miliardo di dollari e offre attualmente il 10,50%. La cedola era stata fissata con l’emissione del 2018 all’8,25%.

Basse riserve, rinegoziazione del debito probabile

Il paese dell’Africa orientale non ha un debito pubblico altissimo – sotto il 70% del PIL – ma dispone di basse riserve valutarie per meno di 8 miliardi, sufficienti a coprire le importazioni per soli 4 mesi. E la bilancia commerciale è pesantemente negativa, così come le partite correnti, pur intraviste in lieve miglioramento, chiuderebbero quest’anno al -5% rispetto al PIL. Una fuoriuscita di dollari circa mezzo miliardo al mese. Lo stesso deficit fiscale è stato stimato al rialzo da Nairobi al 5,5% per l’anno fiscale in corso, a fronte di una spesa per interessi che nel 2023 si sarebbe attestata al 5,7%.

Gli Eurobond del Kenya sono “non investment grade” per le agenzie di rating: giudizio B per S&P, B3 per Moody’s. Comportano un rischio di credito elevatissimo e lo rimarca anche il -24% messo a segno dal cambio contro il dollaro nell’ultimo anno. Gli analisti scontano un ulteriore -25% dello scellino entro fine anno. Male per un’inflazione al 6,6% a dicembre, a fronte di tassi di interesse già al 12,50%. Il paese rischia una spirale negativa, che perlomeno comporterebbe la necessità di rinegoziare il debito estero. La buona notizia è che esso ammonti a circa 34 miliardi di dollari, incidendo per la metà del totale. Un’esposizione non altissima per un’economia emergente.

Eurobond Kenya vittime di stretta sui tassi

L’Eurobond del Kenya in scadenza a giugno probabilmente sfuggirà alla rinegoziazione nel caso in cui una percentuale elevata di creditori, in possesso di ben oltre un capitale di 310 milioni ad oggi ipotizzato, accettasse lo swap con obbligazioni più durature. In cambio degli aiuti, Ruto si è impegnato con l’FMI ad aumentare le entrate fiscali e a tagliare la spesa non assistenziale. Come altre economie emergenti, specie dell’Africa sub-sahariana, il Kenya aveva approfittato nel decennio scorso dei bassi tassi per emettere debito a costo contenuto con cui finanziare programmi infrastrutturali.

Ora che i debiti emessi negli anni passati stanno arrivando a scadenza – l’Eurobond in questione fu emesso nel 2014 come decennale – i costi sono diventati insostenibili con la stretta sui tassi di interesse varata dalle grandi banche centrali tra il 2022 e il 2023. Accadde qualcosa di molto simile negli anni Ottanta. Nell’uno e nell’altro caso, la dimostrazione che approfittare dei bassi tassi per incrementare i debiti nella speranza che i relativi costi restino bassi, si rivela un’illusione.

Specie se a queste manovre non corrispondono politiche di reale potenziamento della crescita nel medio-lungo termine.

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