Era il 22 dicembre del 1993 e in Italia c’era il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, ex governatore della Banca d’Italia e futuro presidente della Repubblica. Al Ministero del Tesoro c’era Piero Barucci, il quale poco prima di Natale emetteva un bond a 30 anni con maxi-cedola dell’8,50% (ISIN: IT0000366721). Attualmente, risulta essere il titolo di stato italiano con il più alto tasso di interesse dopo il rimborso di questa settimana di un altro bond trentennale e con cedola del 9%.

Andrà in scadenza il prossimo 22 dicembre, cioè tra circa un mese e mezzo. Il suo controvalore complessivo supera i 3 miliardi di euro.

Rendimenti netti reali altissimi

A conti fatti, allo stato italiano il bond del Tesoro trentennale sarà costato 230 milioni di euro all’anno di soli interessi netti, più di 6,9 miliardi in trenta anni. E alla scadenza lo stato registrerà pure una minusvalenza di altri 232 milioni, visto che il prezzo di emissione avvenne a 92,50 centesimi. In pratica, dovrà rimborsare più di quello che ottenne dal mercato a fine ’93.

Questo bond del Tesoro ha offerto agli obbligazionisti rendimenti elevatissimi. L’8,50% lordo equivale al 7,44% netto. E rapportata al prezzo di emissione, la cedola netta è pari a più dell’8%. Compresa la plusvalenza alla scadenza, siamo dinnanzi a un rendimento netto dell’8,30%. Esso si confronta con un tasso medio annuo d’inflazione del 2,14%, per cui il rendimento netto reale dell’investimento risulta essere superiore al 6,10%. Questo è il frutto raccolto dagli obbligazionisti che credettero nello stato italiano a lungo termine, in uno dei periodi più difficili della storia unitaria.

Bond Tesoro emesso in condizioni drammatiche

Il ’93 fu un anno di crisi dell’economia italiana, di tensioni finanziarie, c’erano Mani Pulite che picconava la Prima Repubblica, le stragi di mafia, deficit fiscale in doppia cifra, debito pubblico al 120% del PIL e la forte sensazione che il nostro Paese non avrebbe avuto i conti a posto per entrare nell’euro.

L’emissione del bond del Tesoro avvenne in condizioni sfidanti. Al netto del tasso d’inflazione di quell’anno (4,7%), lo stato stava offrendo qualcosa come circa cinque punti percentuali.

Livelli altissimi e che avrebbero svuotato del tutto le casse pubbliche se fossero proseguiti intatti. La marcia di avvicinamento all’euro abbatté i rendimenti richiesti dal mercato. Per gli obbligazionisti la fine di un’era di investimenti a bassissimo rischio e ad alto profitto. I “Bot people” sparivano per buttarsi in altri affari, non sempre ben riusciti. Si riaffacciano un po’ in questo periodo con la ricomparsa di cedole e rendimenti dignitosi anche in termini reali. Ma tornare a quei tempi appare quasi impossibile, in parte per fortuna.

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