Il rialzo dei tassi annunciato per il mese di luglio dalla BCE ha fatto esplodere anche i rendimenti nel resto del Sud Europa. Gli spread si sono divaricati non solo in Italia, ma anche in Spagna, Portogallo e Grecia. Il mercato teme che l’avvio della stretta monetaria senza un paracadute a favore dei PIGS riaccenda le tensioni di un decennio or sono ai danni dei rispettivi debiti sovrani. I bond della Grecia stanno pagando pegno e, chiaramente, sul tratto più lungo della curva si registrano le perdite maggiori.

Bond Grecia, crollo del trentennale

Poco più di un anno fa, Atene emise un bond a 30 anni con scadenza 24 gennaio 2052 (ISIN: GR0138017836). Già dalla cedola striminzita offerta, possiamo immaginare quanto diverse fossero allora le condizioni monetarie: 1,875%. Ebbene, questo titolo quest’anno si è sostanzialmente dimezzato di valore. Ieri, è sceso sotto 54 centesimi. Stava a poco meno di 100 a inizio 2022. A questi prezzi, il rendimento lordo è esploso al 5,50%, il triplo dall’emissione.

La Grecia è passata dal crac alla rinascita sui mercati finanziari negli ultimi 6-7 anni. I suoi bond hanno corso così tanto, che negli ultimi tempi erano arrivati a rendere meno dei BTp lungo la curva, specie per le scadenze lunghe. Non è più così, data la minore propensione al rischio tra gli obbligazionisti. Finché i tassi erano bassi, serviva assumersi qualche rischio in più per inserire in portafoglio titoli redditizi. Ora che persino l’America sui 10 anni offre il 3%, perché rivolgersi ai mercati meno sicuri, se non a forte premio?

C’è da dire anche che l’inflazione in Grecia a maggio è schizzata all’11,3%, ai massimi dal 1994. A rigore, i rendimenti reali ellenici effettivamente restano inferiori a quelli italiani. Ad ogni modo, il bond a 30 anni è troppo goloso per essere ignorato. Già, ma a quali rischi? La Grecia ha un deficit atteso per quest’anno da Fitch al 4,8% del PIL, meno del 5,6% fissato dal governo Draghi in Italia.

Dovrebbe anche crescere del 3,5%, trainata dalla ripresa del turismo dopo la pandemia. Il debito pubblico scenderebbe entro il 2023 al 182% del PIL. Ammontava a 395 miliardi di euro a fine marzo scorso.

Quale rischio sovrano effettivo

Resta il fatto che per il 77% continui ad essere in mano ai creditori pubblici europei. E grazie a questo, vanta una durata media superiore ai 18 anni contro i poco più di 7 anni dell’Italia. Peraltro, il paese dispone di circa 35 miliardi di euro di liquidità con cui eventualmente affrontare le scadenze nei prossimi anni. Nel 2023, ad esempio, arriveranno in scadenza titoli per appena una dozzina di miliardi, circa il 6% del PIL. Nel medio periodo, il rischio di credito appare bassissimo per via di queste condizioni eccezionalmente positive.

Questo non significa che lo stesso valga in un orizzonte temporale lungo. Il debito resta altissimo rispetto al PIL e le prospettive per l’economia appaiono offuscate dalle nubi della guerra e della stretta sui tassi. Vero è che una seconda ristrutturazione del debito a carico degli investitori privati eventualmente risulterebbe poco credibile da considerare, ma non si può mai sapere. Infine, parliamo di un mercato poco liquido, che rischia di non consentire un pronto disinvestimento ai prezzi dati in un dato momento.

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