C’è tensione sul mercato sull’aumento di capitale di Monte Paschi di Siena (MPS). La banca toscana deve ancora trovare gli investitori che mettano a disposizione fino a 900 milioni di euro, dato che lo stato farà la sua parte con 1,6 miliardi. Il rischio di un flop atterrisce i possessori delle obbligazioni MPS, come segnala il boom dei rendimenti nelle ultime sedute. Il tracollo dei prezzi si era arrestato a settembre, quando si era registrato un rally sul varo proprio della ricapitalizzazione a ottobre.

Ma quando manca poco più di una settimana all’avvio dell’operazione, di certezze ve ne sono poche.

Obbligazioni subordinate a prezzi stracciati

E così, vi potreste imbattere sulle obbligazioni MPS subordinate con scadenza 18 gennaio 2028 (ISIN: XS1752894292). Questo bond prezzava ieri pomeriggio in area 51,50 centesimi, vale a dire che si acquistava intorno alla metà del suo valore nominale. Esso stacca cedola fissa del 5,375% all’anno fino alla data del 18 gennaio prossimo, quando inizia la maturazione della cedola variabile legata al tasso mid-swap a 5 anni, attualmente al 2,87%.

Proprio il 18 gennaio prossimo l’emittente ha la facoltà di esercitare la call, cioè il rimborso anticipato dei 750 milioni di capitale. Se lo facesse, le obbligazioni MPS di cui sopra, ai prezzi di ieri, offrirebbero un rendimento sopra il 330%. Infatti, dopo poco più di tre mesi gli obbligazionisti incasserebbero un capitale alla pari, avendolo pagato per poco più della metà, oltre alle cedole relative al periodo di detenzione del bond.

Ovviamente, il mercato sconta che ciò non accada. Effettivamente, non vi sarebbero le condizioni di mercato. Il rimborso anticipato avviene quando l’emittente riesce a sostenere costi d’indebitamento inferiori per rimborsare un bond, rispetto alle cedole che altrimenti dovrebbe versare agli obbligazionisti. Ma al momento i tassi a cui MPS sarebbe in grado di rifinanziarsi sui mercati risulterebbero di gran lunga superiori ai costi che annullerebbe.

Obbligazioni MPS esposte al rischio bail-in

Invece, cresce il rischio di cosiddetto “burden sharing” legato al “bail-in”. Come sappiamo, sin dal 2016 la nostra legislazione ha recepito la direttiva comunitaria BRRD, la quale regola i salvataggi bancari nell’Unione Europea. Essa si basa sulla logica per cui, prima di chiedere aiuto allo stato, una banca deve cercare di salvarsi da sola. Se saltasse l’aumento di capitale, lo stato dovrebbe sobbarcarsi un secondo salvataggio dell’istituto in poco più di cinque anni. A quel punto, però, le obbligazioni MPS non garantite finirebbero nel calderone dei titoli da convertire in capitale. In parole povere, sarebbero azzerati per ripianare le perdite.

Accadde già nel 2017, sebbene gli obbligazionisti subordinati furono successivamente rimborsati dallo stato. Da allora, però, questi titoli sono stati venduti ai soli investitori istituzionali, i quali non potrebbero confidare nel soccorso dello stato, essendo soggetti preparati a fronteggiare situazioni simili.

E le obbligazioni subordinate sarebbero chiamate a risollevare le sorti della banca prima di quelle senior. Dunque, si rivelano doppiamente rischiose: in caso di insolvenza, il loro rimborso avviene solo dopo le obbligazioni senior. Inoltre, partecipano prioritariamente al salvataggio bancario. Uno scenario del genere resta ad oggi improbabile, per quanto non impossibile. L’aumento di capitale dovrebbe procedere regolarmente ed esitare la raccolta dei 2,5 miliardi attesi. In caso contrario, avrebbe avuto ragione il mercato a disfarsi delle obbligazioni MPS.

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