Anche i minibond vanno in default. Dopo il più recente caso di Filca Cooperative, anche Pasta Zara, noto produttore italiano di pasta con sede a Treviso, ha saltato il pagamento delle cedole sul minibond da 5 milioni 6,50% 2020 (Isin IT0005094526) e ha chiesto al tribunale fallimentare di Treviso l’ammissione al concordato preventivo.

Le difficoltà del pastificio erano note da tempo e, in particolare, da quando la crisi delle banche venete si è fatta più profonda. Pasta Zara è stata infatti costretta a svalutare un corposo pacchetto di azioni di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (circa 9 milioni di euro) detenute in portafoglio dalla famiglia Bragagnolo, proprietaria dell’azienda alimentare.

A ciò si somma la crisi economica che ha comportato un calo del fatturato del 15% da quando era stato emesso il bond nel 2015 e che si è attestato a 239 milioni di euro a fine 2017. Il risultato netto è stato quindi negativo per 25,7 milioni di euro a fronte di un patrimonio netto di 77,3 milioni e debito complessivi per quasi 200. Il 31 marzo 2018 è stato quindi sospeso il pagamento degli interessi semestrali del bond dopo aver trovato un accordo di massima con banche creditrici e bondholders per una moratoria sui pagamenti in attesa di ristrutturazione finanziaria.

Nel frattempo Pasta Zara proseguirà le proprie attività  negli stabilimenti di Riese, Muggia (Trieste) e Rovato (Brescia), per un totale di circa 500 dipendenti. La pasta a marchio Zara è distribuita prevalentemente all’estero, tant’è che il pastificio della famiglia Bragagnolo si era imposto come case history per la sua quota predominante (oltre il 90%) di produzione made in Italy destinata ai mercati internazionali, potendo contare su due filiali negli Usa e in Medio Oriente. Inoltre, nel 2016, Pasta Zara aveva acquistato una partecipazione di poco inferiore al 30% del capitale sociale di Ghigi 1870, altro storico pastificio con sede nel Riminese.