Giornata molto importante quella di ieri di Israele, tornata sul mercato dei capitali internazionale per la prima volta dall’inizio della guerra contro Hamas con l’emissione di un bond in dollari in tripla tranche. E la dimensione dell’operazione è stata imponente. Inizialmente, la notizia riguardava tre tranche “benchmark”, che nel linguaggio finanziario significa di almeno 500 milioni di dollari. Alla fine, lo stato ebraico ha raccolto ben 8 miliardi, approfittando dell’elevatissima domanda che si è registrata: 34 miliardi in tutto. Ad essersi occupate dell’emissione sono state Bank of America, Bnp Paribas, Deutsche Bank e Goldman Sachs.

Dicevamo, questo è stato il primo bond di Israele emesso sui mercati internazionali dopo l’inizio della guerra contro Hamas del 7 ottobre scorso. Da allora, in effetti, il paese è già ricorso al debito in valuta americana, ma attraverso collocamenti privati e obbligazioni rivolte ai cittadini ebrei residenti nel resto del mondo.

Rating alti, nessun danno alla reputazione dalla guerra

Questo era un test importantissimo per capire se i bond di Israele potessero avere un qualche appeal tra gli investitori stranieri in una fase delicatissima come quella attuale. Da un lato, il rischio sovrano percepito è salito. La guerra sta colpendo l’economia israeliana, che nel quarto trimestre del 2023 è crollata del 19,4% su base annua. E il fabbisogno per lo stato cresce per la necessità di finanziare l’impresa bellica da un lato e di coprire le minori entrate fiscali dall’altro. Non a caso, per la prima volta Moody’s ha tagliato il rating da A1 ad A2, mentre Fitch lo ha lasciato ad A+ e S&P ad AA-. In tutti e tre i casi, le prospettive sono “negative”.

Ma c’era, in particolare, un secondo rischio che serpeggiava prima dell’emissione di Israele: che i bond fossero percepiti “tossici” sul piano della loro reputazione.

La reazione del governo di Benjamin Netanyahu all’eccidio di Hamas è stata giudicata “sproporzionata” da alcuni alleati storici come gli Stati Uniti, i quali lamentano scarsa attenzione per i diritti dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Il fondo danese Akademikerpension ha escluso di recente i titoli di tredici società israeliane dal proprio portafoglio di investimenti, in quanto legati all’occupazione dei territori palestinesi.

Risultati per i bond di Israele in dollari

Alla prova dei fatti, i bond di Israele se la sono cavata benissimo. Nel dettaglio, la tranche a 5 anni è stata collocata sul mercato per un importo di 2 miliardi, quella a 10 anni per 3 miliardi e quella a 30 anni per altri 3 miliardi. Quanto ai rendimenti, la tranche più corta ha esitato un +135 punti base sopra il T-bond di pari durata, per cui ha offerto intorno al 5,50%. Alla vigilia dell’emissione di Israele, lo spread era atteso in area 160 punti. La tranche decennale risulta avere offerto un premio di 145 punti, per cui offre un rendimento iniziale del 5,60%.

Infine, la tranche trentennale è stata collocata a +175 punti, corrispondenti a un rendimento intorno al 6,05%. Proprio la parte più lunga della curva avrebbe attratto maggiormente gli investitori. Pur in calo dal picco del 6,50% di ottobre, i bond di Israele in dollari offrono ancora un rendimento medio elevato del 5,70% sul mercato secondario.

L’emissione di Israele un successo, non solo per il rendimento

Ma non c’è stata solo la caccia al rendimento dietro al successo dell’emissione di Israele. Gli investitori non temerebbero grossi contraccolpi nel lungo periodo per l’economia e i conti pubblici di Israele. Se vogliamo, il segnale di un certo ottimismo anche per quanto concerne la fine della guerra, che ha già provocato numerosissime vittime in pochi mesi. Ovviamente, il rendimento ha giocato senz’altro un ruolo importante. Ottenere il 6% per 30 anni da un titolo del debito emesso da uno stato fiscalmente solido non è cosa di tutti i giorni.

Pur con tutti i rischi legati al cambio, le ragioni per non comprare erano poche.

[email protected]