Il Coronavirus non sta risparmiando alcuna area del mondo e un po’ ovunque a marzo è scattato l’allarme tra gli investitori, i quali sono corsi a liquidare moltissime posizioni, sia sul mercato azionario che su quello obbligazionario, spaventati riguardo al futuro. Lo stesso è avvenuto in Svezia, dove molti risparmiatori, però, si sono ritrovati dinnanzi a uno scenario inaspettato: hanno cercato di vendere le quote detenute nei fondi obbligazionari e in moltissimi casi è stato loro impedito di farlo. E’ salito ad oggi a ben 35 il numero dei fondi che hanno applicato il cosiddetto “gating”, vale a dire la chiusura dei cancelli per impedire la fuga dei clienti.

Un’amara sorpresa per chi aveva pensato che queste posizioni fossero del tutto equivalenti al conto in banca. E glielo avevano fatto credere proprio i fondi, con un marketing rassicurante, in cui venivano citati i bassi rischi e la bassa volatilità tra i fattori sui quali gli svedesi avrebbero dovuto fare affidamento per mettere a frutto i loro risparmi. E bisogna ammettere che se i conti bancari non hanno offerto alcun tasso d’interesse negli ultimi anni, i fondi obbligazionari hanno garantito un minimo rendimento. Non è un caso che dai 99 miliardi del 2014, gli investimenti nel 2019 fossero quasi raddoppiati a 173 miliardi di corone svedesi, attesi a 180 miliardi (16,7 miliardi di euro) quest’anno.

Cos’è accaduto di preciso? I gestori dei fondi si sono ritrovati a fronteggiare un’impennata inattesa di richieste di riscatto delle quote, non avendo avuto il tempo sufficiente per vendere a loro volta gli assets sottostanti, essenzialmente obbligazioni corporate. Ci si è trovati, in poche parole, dinnanzi a un problema di liquidità. Da qui, la decisione di “congelare” gli investimenti dei clienti, molti dei quali andati su tutte le furie, ignari dei rischi a cui si erano esposti quando erano entrati su questo mercato.

Lo stato di illiquidità degli assets è derivato essenzialmente dalla relativa concentrazione dei portafogli su bond di bassa qualità creditizia, i cosiddetti “high yield”, nonché su titoli emessi da società sprovviste di rating, perlopiù immobiliari. In entrambi i casi, il trading sul mercato secondario tende ad esitare volumi scarsi, specie nelle fasi avverse.

I fondi obbligazionari a rischio liquidità con un crash dei mercati

Fondi poco liquidi

E qui casca l’asino dopo un decennio di bolla obbligazionaria senza precedenti nel mondo. I fondi si sono trovati costretti ad acquistare bond sempre più rischiosi per ricavare un minimo valore dagli investimenti, dato che gli assets con rating medio-alti esitano ormai da tempo rendimenti bassissimi, se non negativi, specie per le scadenze più brevi. E negli ultimi anni, ad essere cresciuta è stata particolarmente la fetta dei bond emessi dalle società giudicate “speculative” dalle agenzie di rating. Aggiungiamo, poi, che le dimensioni dei fondi svedesi sono relativamente piccole e i guai erano inevitabili.

Non che avessero imbrogliato, ma la segnalazione dei bassi rischi e della bassa volatilità si riferiva alla loro performance storica, mentre l’evento che stiamo vivendo si presenta come una novità nel panorama finanziario moderno. Difficile prevederlo, ma è emerso come il passato non sempre sia un’ottima guida per capire come andranno le cose in futuro, così come anche che la liquidità di un fondo non sarà mai totale, essendo sempre insito il rischio dell’impossibilità di fronteggiare tempestivamente numerose richieste di disinvestimento dei clienti. Del resto, se il conto in banca offre zero e un fondo obbligazionario qualcosa rende, non è certo per pura bontà. A rischio nullo corrisponde un rendimento altrettanto nullo.

Il più grande pericolo sul mercato obbligazionario adesso si chiama liquidità

[email protected]