Da un paio di anni siamo tornati ad investire in obbligazioni dopo una lunga fase in cui questo business era rimasto appannaggio delle istituzioni finanziarie. I rendimenti si sono impennati ai livelli più alti da inizio anni Duemila, reagendo alla risalita dell’inflazione ai massimi da quaranta anni a questa parte quasi ovunque. Tra poche settimane ci sarà la svolta. La Banca Centrale Europea (BCE) quasi certamente avvierà il primo taglio dei tassi di interesse tra le grandi banche centrali del pianeta.

In previsione di ciò, i rendimenti sono già scesi dai massimi a cui si erano portati nell’ottobre scorso. Tanto per fare un esempio, il BTp a 10 anni è passato dall’offrire il 5% all’attuale 3,85%. Nel frattempo, lo spread con i Bund della Germania si è ristretto di un’ottantina di punti base.

Investire in obbligazioni su mercati avanzati o emergenti?

Se questi sono i dati di fatto, molti di noi si staranno chiedendo se avrà ancora un senso investire in obbligazioni anche nel prossimo futuro. In generale, gli analisti prevedono che l’inflazione scenderà nelle grandi economie, ma restando più elevata dei livelli pre-Covid. Tra smantellamento in corso della globalizzazione e costi legati alla transizione energetica, anche al netto delle tensioni geopolitiche non dovremmo assistere a tassi d’inflazione prossimi allo zero come nel decennio precedente alla pandemia.

Presa per buona questa previsione, ci chiediamo in quali obbligazioni investire nello specifico. Abbiamo da un lato i “porti sicuri” di Nord America ed Europa, tanto per limitarci ai grandi mercati, mentre dall’altro avanzano le opportunità sui mercati emergenti. La scelta tra gli uni e gli altri dipende essenzialmente da tre fattori: rendimento, rischio di credito e aspettative sui tassi di cambio. E il problema è che, in questa fase, non esistono segnali univoci in tal senso.

Oro sempre verso nuovi record

L’oro ha segnato un ennesimo record storico, salendo sopra i 2.400 dollari l’oncia sui mercati internazionali.

Questo è sintomatico della paura che ci sarebbe tra gli investitori. Di cosa? Delle tensioni geopolitiche e dell’inflazione a medio-lungo termine. Chi compra oro, sta difendendosi praticamente dall’eventualità che i tassi reali nei prossimi anni scendano per effetto di un’inflazione relativamente sostenuta. Se fosse vero, avrebbe senso investire in obbligazioni più sicure, cioè essenzialmente di Stati Uniti ed Europa.

Segnali divergenti da argento e rame

Poi, però, scopriamo che l’argento guadagna quest’anno il 35% e si è portato ai massimi da fine 2012. E il rame è ai massimi storici. I due metalli hanno alcune caratteristiche comuni. Il primo, a differenza del secondo, è un “safe asset” come l’oro. Ma circa metà della sua domanda ha a che fare con impieghi a scopi industriali. A maggior ragione vale per il rame, metallo industriale per eccellenza. Se l’argento è impiegato perlopiù nella produzione di elettronica di consumo, il rame risulta indispensabile per le auto elettriche e i data center legati all’Intelligenza Artificiale.

Il fatto che i loro prezzi salgano, segnala che l’attività economica del pianeta starebbe girando. E questo è un buon segnale per l’economia mondiale. Spronerebbe a investire in obbligazioni emergenti per due ragioni. La prima è che se c’è crescita globale, a beneficiarne sono particolarmente le economie in transizione. Il loro rischio di credito si abbasserebbe e i cambi dovrebbero apprezzarsi o reggere contro le divise forti. La seconda riguarda il fatto che le materie prime come il rame si trovano in gran parte proprio nelle economie emergenti. Basti pensare al Cile e al Congo.

Investire in obbligazioni emergenti con crescita globale

Delle due l’una: o ha ragione l’oro e dovremmo, quindi, investire in obbligazioni più sicure o hanno ragione argento e rame e potremmo optare per le obbligazioni emergenti e, più in generale, per le “high yield”.

In un contesto di crescita economica, infatti, la propensione al rischio cresce, gli spread creditizi si riducono e le società finanziariamente meno solide ne traggono vantaggio. L’apparente incongruenza si spiegherebbe con il fatto che le banche centrali asiatiche stanno facendo incetta di oro per allentare la dipendenza dal dollaro. Ciò ne sostiene le quotazioni, le quali rifletterebbero non necessariamente aspettative d’inflazione medio-alte o timori per la geopolitica. E non a caso gli emergenti ne stanno già approfittando con il ritorno alle emissioni.

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