I rendimenti dei titoli di stato italiani sono scesi vistosamente durante la settimana scorsa, con il decennale che aveva iniziato l’ottava sopra il 4,30% e l’ha conclusa al 4%. E giovedì 2 febbraio, in occasione del board della BCE, si era portato sotto il 3,90%. Investire in BTp resta un’opzione favorevole ai portafogli dei risparmiatori. L’alta inflazione di quest’ultimo anno ci ha fatto perdere il senso dei numeri. Quando leggiamo che l’inflazione italiana per l’ISTAT è scesa al 10,1% a gennaio e che il BTp a 10 anni ci offre il 4%, ci sentiamo quasi presi in giro come investitori.

Ma il dato sull’inflazione riguarda il passato. E, ahi noi, quello non possiamo più modificarlo. Invece, i rendimenti offerti riguardano il futuro. Solo se crediamo che l’inflazione nel prossimo decennio rimarrà ai livelli attuali, dovremmo cercare alternative ai bond. Nel caso contrario, sarebbe bene che iniziassimo a impiegare la liquidità disponibile.

Economia americana in salute, ma sale rischio recessione

Il tratto della curva che offre maggiori opportunità di guadagno è quello lungo. Lì, investire in BTp può offrire soddisfazioni anche grosse in molto meno tempo di quanto crediamo. Prendete i dati macro arrivati dagli Stati Uniti, dove a gennaio l’occupazione ha registrato un boom di 517.000 posti di lavoro, molto meglio dei 187.000 stimati dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,4%, minimo da 53 anni. E i salari orari sono cresciuti dello 0,3% mensile e del 4,43% annuale. In sintesi, l’economia americana va a gonfie vele. Così bene, che i rendimenti dei T-bond sono tornati ad impennarsi venerdì scorso dopo la pubblicazione di questi dati. Il decennale è passato dal 3,40% a oltre il 3,50%.

E dire che solamente mercoledì i mercati avevano festeggiato il discorso di Jerome Powell, che è sembrato avviare a conclusione la stretta sui tassi della Federal Reserve. A leggere l’andamento della curva dei rendimenti, qualcosa di grosso starebbe per accadere.

Il T-bond a 30 anni offriva venerdì scorso un rendimento del 3,61% contro il 4,67% offerto dal T-bill a 3 mesi. Mai lo spread tra le due scadenze era stato così negativo (-1,06%). E quando è sceso sottozero, ha sempre anticipato una recessione dell’economia americana negli ultimi quaranta anni. Un anno fa, il trentennale americano rendeva quasi il 2% in più del titolo a e mesi. Sembra una contraddizione, ma significherebbe che gli Stati Uniti siano al culmine del loro ciclo espansivo.

Investire in BTp per anticipare taglio tassi FED/BCE

Lo stesso spread 10/2 anni resta ai livelli più negativi da inizio anni Ottanta. Questa inversione della curva può significare più cose. La prima è che il mercato si attende un’inflazione calante per effetto della stretta sui tassi della FED. La seconda, praticamente un sotto-caso della prima, è che la FED dovrà presto tagliare i tassi per reagire alla recessione dell’economia americana. In entrambi gli scenari, ossia che l’inflazione negli Stati Uniti scenda con o senza recessione, investire in BTp sarebbe la risposta giusta oggi. Infatti, un allentamento monetario della FED nel medio termine spingerebbe in basso i rendimenti anche nell’Area Euro.

Ad approfittare del tonfo sarebbero particolarmente le scadenze più lunghe. Esse presentano prezzi ancora bassi e rendimenti alti. Investire in BTp a 30 o 50 anni, tanto per fare qualche esempio, farebbe lievitare il valore di mercato del capitale più velocemente rispetto alle scadenze medio-lunghe e brevi. Chiaramente, sempre a patto che gli obbligazionisti stiano bene interpretando i segnali. Nessuno immagina che i rendimenti tornino da qui a qualche anno (forse mai) ai livelli degli anni passati. E forse è desiderabile che ciò non accada, in quanto quella fase straordinaria fu lo specchio di economie stagnanti e tenute in vita dagli stimoli monetari. Ma se l’inflazione tenderà ai target del 2%, rendimenti al 4-4,5% non si giustificheranno più.

Potrebbero dimezzarsi, a tutto beneficio dei prezzi.

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