Mese più, mese meno, il dado è tratto. Il taglio dei tassi di interesse sta per arrivare sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona. I rendimenti obbligazionari sono scesi dai massimi a cui erano arrivati nell’ottobre scorso. Pur in ripresa dai minimi toccati a dicembre, segnalano la convinzione del mercato che l’allentamento monetario ci sarà. Ed è così che i bond emergenti sono tornati oggetto di attenzioni dopo essere stati snobbati per un biennio. La caccia al rendimento li rende più appetibili.

Gli obbligazionisti si stanno spostando sugli asset più rischiosi, pur di inserire in portafoglio titoli relativamente più remunerativi.

Rischio di credito medio-alto, ma non sempre

Cosa intendiamo per bond emergenti? Sono titoli del debito emessi da governi, società o banche dei Paesi emergenti, vale a dire economie in via di sviluppo. Si trovano essenzialmente in Asia, Africa e America Latina. In Europa sono considerati tali anche gli stati dell’Europa Orientale come Romania, Ungheria e Polonia.

I bond emergenti non necessariamente sono più rischiosi dei bond emessi sui mercati maturi. Prendete il Cile. Rating A/A-/A2, nettamente migliori di quelli assegnati all’Italia e ad altri stati sviluppati. E cosa dire dell’Arabia Saudita, che possiede uno dei più grandi fondi sovrani al mondo grazie alle abbondanti entrate petrolifere? Innegabile, tuttavia, che generalmente essi comportino l’assunzione di rischi maggiori. E la ragione principale che tiene molti piccoli investitori alla larga da questi mercati, perdendo spesso ghiotte opportunità di guadagno.

Etf di Vanguard, rendimenti positivi nel lungo periodo

In casi come questi ci vengono in aiuto gli Etf. Ci consentono di investire sui bond emergenti senza esporci direttamente ai singoli emittenti e diversificando il portafoglio. Vanguard Emerging Markets Government Bond ETF replica l’andamento del Bloomberg USD Emerging Markets Government Ric Capped Index, che investe in 730 obbligazioni statali denominate in dollari Usa.

Al 29 febbraio scorso, disponeva di asset per 4,4 miliardi. La diversificazione è il punto di apparente maggiore forza di questo veicolo. I primi dieci emittenti incidono per il 59,2% dell’intero investimento. Spiccano l’Arabia Saudita con l’11,20% e il Messico con il 10,10%. Troviamo anche l’Argentina all’undicesima posizione con un peso del 2,70%.

Nell’ultimo anno, i bond emergenti nel portafoglio dell’Etf di Vanguard hanno offerto un rendimento del 9,27%. E nell’ultimo decennio hanno esitato un buon 30,77%. Soltanto dal 2021 al 2024 il dato risulta negativo per il 4,18%. Attualmente, il loro rendimento medio è del 7%, a fronte di una cedola media del 5,20%. La durata media è elevata: 12 anni. Invece, la “duration” scende a 7,1 anni. Considerate che quasi il 60% dei titoli in portafoglio hanno una durata residua compresa tra 1 e 10 anni. E quasi la metà (45,10%) un rating creditizio inferiore a BBB, cioè o sull’ultimo gradino dell’area “investment grade” o “spazzatura”. Dunque, rischio default alto.

Bond emergenti per accrescere il rendimento medio

Soluzioni come questa aiutano a rischiare senza eccessi. Dopodiché, i rendimenti sopra menzionati non sono una guida per il futuro. E teniamo anche presente che i bond emergenti interessati sono espressi in dollari, per cui ci assumeremmo anche un rischio di cambio. Un andamento sfavorevole della valuta americana contro l’euro deprimerebbe i rendimenti effettivi e finanche potrebbe azzerarli o portarli in territorio negativo. Ad ogni modo, la differenziazione del portafoglio è importante, così come non si sfugge dall’incremento del rischio se si punta ad accrescere il rendimento del portafoglio.

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