Era un annuncio scontato ed è arrivato puntualmente. Ieri, la Federal Reserve ha comunicato il secondo rialzo dei tassi americani consecutivo. E’ stato nell’ordine dello 0,5%, il maggiore sin dal 2000. Il costo del denaro negli USA sale così al range dello 0,75-1%. E a partire dal mese di giugno, il bilancio dell’istituto sarà ridotto al ritmo di 47,5 miliardi di dollari mensili, salendo a 95 miliardi al mese dopo tre mesi. Questo significa che la FED non solo non rinnoverà le scadenze degli asset in portafoglio, ma al contrario inizierà a vendere quelle che possiede.

In questo modo, ridurrà il grado di liquidità sui mercati, ritirando denaro contro titoli. Attualmente, il suo bilancio sfiora i 9.000 miliardi di dollari.

La reazione contraria del mercato

Il rialzo dei tassi FED, dicevamo, era previsto. E, infatti, non ha sortito nell’immediato l’effetto auspicato dal governatore Jerome Powell. Egli intendeva ieri sera segnalare la volontà dell’istituto di battere l’inflazione, salita all’8,5% negli USA a marzo, il livello più alto da fine 1981. In effetti, il dollaro si è indebolito, anziché rafforzarsi ulteriormente in scia alle dichiarazioni “hawkish”. Il cambio euro-dollaro si è portato fin sopra 1,06 stamattina. E il Treasury a 10 anni, che prima del comunicato ufficiale si attestava sopra 3%, è sceso fino al 2,9%.

E l’attesa sul rialzo dei tassi FED nei prossimi mesi è diventata tra gli investitori un po’ meno pronunciata. Il mercato prevede ora che il costo del denaro a fine anno salga al 2,75%. Fino a qualche giorno fa, puntava al 3%. Dunque, rispetto ad oggi la stretta entro l’anno sarebbe pari ad altri 175 punti base cumulati. Poiché restano altre cinque riunioni del board da qui a dicembre, ciò significa che in almeno un paio di occasioni il rialzo dei tassi sarebbe pari allo 0,5%.

Sempre secondo il mercato, poi, a metà dell’anno prossimo i tassi FED culminerebbero al 3,25% per stabilizzarsi a quel livello.

Evidentemente, esso sconterebbe o la vittoria sull’inflazione nel medio termine da parte della FED o l’ingresso dell’economia americana nella recessione. Nel primo trimestre, il PIL USA ha ripiegato a sorpresa dell’1,4% rispetto al trimestre precedente. Le attese erano per un aumento dell’1%. Hanno influito le elevate importazioni, mentre consumi e investimenti sono rimasti tonici.

Verso maxi-rialzo dei tassi FED?

In definitiva, se i mercati continuassero a reagire in direzione opposta a quella auspicata dalla FED, Powell nelle prossime settimane sarà costretto a mostrarsi ancora più “falco”. A quel punto, servirebbe un rialzo dei tassi FED nell’ordine dello 0,75% al board di giugno. Del resto, oggi le quotazioni del petrolio (Brent) sono salite sopra 110 dollari, un segnale di rischio per l’ulteriore accelerazione dei tassi d’inflazione presso le economie importatrici. Più vigorosa la stretta, però, più elevate le probabilità di ricaduta dell’economia americana nella recessione.

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