Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa, era tutt’altra persona rispetto alla figura tramandataci dalla nostra memorialistica. Uomo colto e raffinato, abile con la spada ma capace in diplomazia. Insofferente però alle continue punzecchiature che gli venivano mosse dalle città del basso impero. In modo particolare mostrava allergie verso il Pontefice Romano e le gerarchie ecclesiastiche, ma era vicino ai nuovi ordini monastici che si sviluppavano in quel periodo. Non a caso il movimento Cistercense con Ottone di Frisinga viveva allora un periodo di massima espansione: un rinnovamento della Fede che, partito dalla Francia, attraversava l’Impero e giungeva a Roma.

Ma erano le città italiane con la loro intraprendenza, il voler costruire Cattedrali, la loro rete di commerci ad essere una continua spina nel fianco. All’inizio, applicando la lex cesarea del “divide et impera”, era riuscito a governare il Sacro Romano Impero mettendo le città della penisola l’una contro l’altra. E, poi, tutte insieme contro Milano. Ma non era questo il solo problema all’interno del Regno: le “grane” erano all’ordine del giorno … le lotte dei principi tedeschi, la questione boema, la nascente lega anseatica. Erano i prodromi di un cambio di stagione, del passaggio di epoche storiche. In Italia era già dovuto intervenire personalmente parecchie volte, per mettere a tacere le frequenti insorgenze che si levavano da Milano. Aveva cinto d’assedio e affamato la città, distruggendone prima i borghi che la rifornivano di vettovaglie e poi – una volta vinta – radendone al suolo edifici e mura della città. Ma questa, non tardava a risorgere dalle ceneri. Stanco del protrarsi della situazione si era deciso, questa volta, a chiudere la questione. Era l’Ottobre del 1166, la quarta volta che Federico si doveva scomodare. Giunto in pieno autunno, questa volta non aveva trovato un clima d’accoglienza troppo entusiastico.
Le città filoimperiali di Lodi, Pavia e Como  lo accolsero in maniera piuttosto fredda, senza tuttavia negargli l’ospitalità. Iniziò allora la sua spedizione, scendendo nell’Italia Centrale per rimettere un pò di ordine. Tra una battaglia e l’altra ebbe il tempo per una capatina a Roma, dove si fece incoronare Imperatore del Sacro Romano Impero. L’esercito imperiale non fece fatica ad avere la meglio contro le milizie cittadine improvvisate. Nel frattempo le città del nord iniziarono ad aver paura. Una classica provvidenziale “bega” in Germania lo richiamò in patria accelerando la risalita verso nord e lasciando l’Italia nel solito disordine creativo. L’anno seguente, vista l’esperienza, le città del nord riuscirono a trovare un’intesa comune di discussione e confronto riunendosi nella Lega Lombarda. Ma la precedenza di Federico era, giustamente, per le faccende domestiche: tutto sommato la maggior parte delle città del nord gli erano, comunque, fedeli continuando a versare i tributi. Questo, per il momento, era più che sufficiente. Quando poi, qualche anno più tardi, nel 1174 finalmente il nostro Barbarossa riuscì a risolvere le questioni in Germania mise assieme un grosso esercito. Deciso a farla finita una volta per sempre con le città ribelle italiane. Ma non tutto andò secondo i suoi piani (un altro cigno nero) e la Lega tra le città italiane ebbe una fortunosa vittoria sugli imperiali a Legnano. Poco ci mancò che lo stesso Barbarossa lasciasse la vita sul suolo lombardo. Dalla guerra si passò alla diplomazia: con la Dieta di Costanza si cercò di ridare un assetto stabile all’Impero mentre le città italiane si videro riconosciute diverse prerogative amministrative e legali. Ma sempre sotto l’egida formale dell’Imperatore. Federico I terminò i suoi giorni nel corso della III Crociata, annegando durante l’attraversamento di un fiume.
Una fine banale di un grande uomo d’arme. Questa settimana è stata un delirio di notizie sull’ineluttabilità di un default da parte ellenica. Ormai il duo Papandreou/Papaconstantinou si trova a rincorrere i vari rumors che danno per imminente il default: un giorno si e l’altro no. Non ricordo più il numero delle smentite che si accompagnano di volta in  volta quelle dei ministri delle Finanze UE e parte di funzionari BCE. Più sfumate le smentite di Schaeuble. In mezzo a tutto questo bisognerebbe mettere il buon risultato dell’Asta dei Trimestrali (sottoscritto dalle banche greche con la liquidità fornita da BCE) ed il fattaccio della mail partita da un dipendente della Citigroup. La Borsa di Atene, nell’ultima ora di mercoledì, era improvvisamente precipitata senza motivo apparente (potete guardare i grafici dell’indice ASE) per riprendersi poi il giorno successivo. Dietro questa discesa ci sarebbero stati i “rumors” di un default programmato dello Stato Ellenico durante le festività pasquali allertati da questa mail. Ormai sappiamo che l’ipotesi default è sui tavoli della discussione, come lo era – del resto – lo scorso anno. Rispetto a questa ipotesi è stato messo in atto un percorso sorvegliato dalla “Troika” con finanziamenti da 110 MLD ed un piano per un ritorno ad una economia sostenibile. Questo percorso è in atto. Non si tratta dunque di una novità, come sembrano voler insistere i media. Questa settimana ( e l’altra ancora) non è successo nulla di rilevante da un punto di vista macroeconomico. Con ogni probabilità ci troviamo in una fase molto avanzata della discussione, intorno agli effetti del Memorandum sottoscritto a maggio 2010: cioè se le cure introdotte da Papandreou nell’economia ellenica non avranno ottenuto i risultati attesi bisognerà trovare una soluzione alternativa. Questa potrà passare attraverso una rimodulazione delle scadenze, senza taglio del nominale, proprio per non colpire il delicato assetto economico ellenico costituito da banche e fondi pensione. Di riflesso, una tale prospettiva, potrebbe trovare risposta positiva anche dalle banche francesi e tedesche interessate a non svalutare gli asset a bilancio per Basilea III.
Ragionevolmente non credo a scenari di tipo argentino (anche il FMI ha imparato la lezione) ma più verosimilmente di tipo uruguayano o russo/ucraino. Quindi, aldilà dei soliti catastrofisti, la soluzione “ristrutturazione” potrà essere presa in considerazione qualora la recessione del 2011 sia più profonda del previsto (oltre il 3%) con un PIL senza segni di ripresa. In questo caso si potrebbero aprire un paio di scenari verosimili: un riscadenziamento del debito più in là di almeno 5 anni a cedola invariata (se incassato prima un haircut sul titolo) oppure – in presenza di una forte volontà politica – un’operazione molto più efficace di concambio con titoli EFSF al nominale ma con taglio cedolare. Un buy back con i titoli già in portafoglio a BCE (40 MLD?) potrebbe chiudere l’operazione. Gli ultimi dati che ci arrivano dall’economia reale vedono un ulteriore aumento della disoccupazione, arrivata ormai alle soglie del 15%, accompagnato da un sostanziale calo delle entrate dovute in parte a riscossioni mancate ma in massima parte alla perdurante difficoltà congiunturale. Rimangono invece molto positivi ed incoraggianti i dati sulla ripresa dell’export + 30% ed il dato, poco rilevante, dell’aumento della produzione industriale + 6,0%. Un pò poco per essere ottimisti, ma qualcosa in più per non essere pessimisti ad oltranza. Sarà decisiva la prossima stagione estiva (16% del PIL + indotto) che, stando ai disastri nell’area nordafricana, si preannuncia positiva e il dispiegarsi dell’ultima manovra Papandreou fatta di privatizzazioni, stretta fiscale ed incentivi agli investimenti. Sarà condizione importante riuscire a mantenere l’ordine sociale. Non prima di luglio/agosto potremmo valutarne in modo compiuto gli effetti. Nel corso della settimana abbiamo assistito ad una sensibile sollecitazione degli spread sul bund decennale di Irlanda e Portogallo che hanno anch’essi ritoccato i massimi storici dall’introduzione della moneta unica. La Spagna è ritornata su una china pericolosa perdendo parte delle posizioni conquistate l’ultima settimana. I cinesi hanno fatto sapere che potranno intervenire, con manovre a sostegno sui Periferici, se avranno garanzie che i loro investimenti non saranno soggetti a “svalutazioni” oltre ad avere risoluzione su alcune vertenze commerciali con la UE. La nota, diffusa l’altro giorno, era riferita alla Spagna ma potrebbe riguardare in pieno i nostri ellenici dove i cinesi hanno interessi consolidati e tutto l’interesse che la situazione rimanga gestibile. Vivacchiano meglio Italia e Belgio (sempre in attesa di un nuovo governo) che seguono a fasi alterne il movimento degli spread rispetto agli altri periferici. Quando però la crisi accelera, ritornano in correlazione. Non mi rimane che augurare a tutti una Buona Pasqua! Tommy271