Sui mercati obbligazionari sembra palese che, almeno per questa fase, i rendimenti dei bond abbiano toccato il “floor”. La risalita è stata drastica nelle ultime settimane. Il Treasury a 10 anni è passato dallo 0,90% di inizio 2021 a quasi l’1,30%, tornando ai massimi da un anno. La fuga dai “safe assets” va di pari passo con l’avvio delle campagne di vaccinazione nazionali. E poco importa che a distanza di due mesi, i risultati appaiano molto scarsi per la gran parte degli stati, perché il mercato starebbe scontando il ritorno alla normalità, cioè la fine dell’incubo pandemico.

C’è un altro fattore che sta incidendo sul crollo dei prezzi obbligazionari: la reflazione. Dalle variazioni negative dei prezzi al consumo nell’Eurozona si è passati improvvisamente a un balzo in area 1% a gennaio, per cui gli investitori si stanno riposizionando a sfavore del mercato a reddito fisso. Ci offre un esempio lampante della situazione il mercato austriaco. Vienna ha emesso bond a 100 anni sin dal 2017. Sono due i titoli in questione: uno in scadenza nel settembre 2117 e cedola 2,10% (ISIN: AT0000A1XML2) e l’altro in scadenza nel giugno 2120 e cedola 0,85% (ISIN: AT0000A2HLC4).

Bond a 100 anni, dal Messico all’Austria opportunità per opposte esigenze

L’arma a doppio taglio dei bond ultra-lunghi

Questi due bond hanno la caratteristica di apprezzarsi parecchio nelle fasi di forte incertezza sui mercati internazionali e di contrarsi altrettanto quando sale la propensione al rischio. Prendiamo il primo: viaggiava poco sotto la quotazione di 235 l’11 dicembre scorso, offrendo un rendimento annuo lordo dello 0,30% alla scadenza. Ieri, il titolo risultava imploso sopra 181, perdendo circa il 22,6% in poco più di due mesi e rendendo lo 0,69%. Il secondo è passato, invece, da un rendimento dello 0,33% allo 0,81%. Nel contempo, la quotazione è crollata di oltre un quarto (-26,5%), scendendo da quasi 140 a poco più di 102.

In altre parole il bond 2117 offre quasi 0,39% in più, ma per giungere a questo risultato ha dovuto deprezzarsi del 22,6%.

In sostanza, se fosse salito di un intero punto percentuale, sarebbe dovuto crollare di quasi il 59%. Il bond 2120 offre ben lo 0,48% in più, a fronte del quale ha ceduto il 26,5%. Se fosse salito di un intero punto percentuale, avrebbe dovuto perdere oltre il 55%. Questi numeri ci forniscono l’idea di quanto “sensibili” siano diventati i prezzi delle obbligazioni a lunghissima scadenza e/o con basse cedole rispetto alle variazioni dei tassi di mercato.

E di fatti, il bond 2117 venne emesso in condizioni monetarie abbastanza favorevoli, ma non paragonabili con quelle attuali. Allora, offrire un rendimento in area 2,10% per un titolo a 100 anni fu considerato un enorme successo, mentre oggi sembra un obiettivo alla portata persino dei paesi sviluppati peggio messi sul piano fiscale. Quel bond è arrivato ad offrire per l’appunto fino a un minimo di circa lo 0,30%, 7 volte in meno. In Italia, il fenomeno è fortemente frenato dal fatto che i rendimenti di partenza fossero già relativamente alti e dalla svolta politica a Roma, che ha visto la nascita del governo Draghi, graditissimo dai mercati. Purtuttavia, il BTp 2067 ha perso il 4,65% in appena 8 giorni. Sul resto della curva, i rendimenti hanno smesso di scendere e sono tornati a salire, così come un po’ anche lo spread.

Spread sotto 90, ma il calo dei rendimenti si prende una pausa

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