Anche il debito emergente è stato investito dalla fuga dei capitali dal comparto obbligazionario. I tassi d’interesse stanno risalendo dopo essere stati tenuti ai minimi storici per anni, in alcuni casi negativi. Persino i rendimenti sovrani di stati come la Germania sono esplosi in pochissime settimane. In questa fase, specie in Asia stiamo assistendo a un crollo delle emissioni in dollari per la volontà dei governi di contenere i costi.

Ad ogni modo, il debito emergente continua ad offrire soluzioni d’investimento ben più appetibili di quelle che si possono rinvenire sui mercati avanzati.

Malgrado gli aumenti dei rendimenti globali, questi restano ben sotto i tassi d’inflazione in Nord America ed Europa. E gli spread con i mercati emergenti si stanno ampliando. Certo, investendo in questi ultimi ci si assume un rischio di credito più alto, specie in una fase monetaria restrittiva, quando le relative valute tendono a deprezzarsi perlopiù contro il dollaro.

Debito emergente, il caso dominicano

Ma il caso che vi esponiamo, dimostra come il rischio possa remunerare il nostro portafoglio. Il bond in dollari della Repubblica Dominicana con scadenza 30 aprile 2044 e cedola 7,45% (ISIN: USP3579EAY34) fu emesso alla pari nella primavera del 2014. Sul mercato debuttò come trentennale. Ieri, alla Borsa di Lussemburgo in cui è negoziato quotava a quasi 110. Dunque, oltre a corrispondere all’obbligazionista una maxi-cedola, il suo valore è aumentato. Nel caso in cui lo avessimo rivenduto proprio ieri, cioè a quasi otto anni di distanza dall’acquisto, avremmo anche incassato un capitale rivalutato in euro del 17%. Tanto ha guadagnato il dollaro contro la moneta unica dal maggio 2014.

In definitiva, tra effetto cambio, apprezzamento del bond e cedola, il rendimento lordo annuo sarebbe stato nel periodo considerato di oltre il 10,8%. Al netto dell’imposizione fiscale del 12,5%, risulterebbe pur sempre del 9,75%, a un soffio dalla doppia cifra.

Certo, dicevamo i rischi del debito emergente. La Repubblica Dominicana ha rating “non investment grade”: BB- per S&P e Fitch, Ba3 per Moody’s. Tuttavia, dall’emissione del suddetto bond ha guadagnato qualche gradino. Il suo debito pubblico valeva il 70% del PIL a fine 2020, pur essendo stimato in discesa dopo la fase acuta della pandemia.

Il debito emergente in valute estere forti si ripaga attraverso le riserve della banca centrale. Esse ammontavano a 13 miliardi di dollari a fine 2021, pari a sei mesi di importazioni. Relativamente elevato il debito estero, a circa il 40% del PIL. Ma le esposizioni a breve termine incidono solamente per il 20% delle riserve valutarie, segno che i rischi di credito per le obbligazioni in dollari sarebbero contenuti nel breve e medio periodo. Insomma, non tutte le economie emergenti sono ugualmente rischiose.

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