E’ stata una seduta a suo modo “storica” per i titoli di stato americani quella di ieri. In un solo giorno, i rendimenti dei T-bond a 10 anni sono collassati di oltre lo 0,20% sotto il 3,50%. E i rendimenti dei T-bond a 2 anni sono passati da quasi 4,60% al 4%, cioè molto al di sotto dei tassi FED per la prima volta dal novembre scorso. In soli tre giorni, proprio il rendimento biennale è crollato dell’1% o 100 punti base, mai così tanto in così breve tempo sin dal 1987.

E la curva delle scadenze è tornata ad appiattirsi velocemente. Venerdì scorso, lo spread 10/2 anni si attestava a -0.90%. Ieri, era sceso a -0,60%. In altre parole, le distanze tra decennale e biennale si sono accorciate.

La curva delle scadenze resta invertita come mai prima dal 1981. Ciò avviene quando i rendimenti a lunga scadenza risultano inferiori a quelli a più breve scadenza. E quando ciò si verifica, il mercato generalmente sconta un taglio dei tassi d’interesse, che a sua volta tende a coincidere con la recessione dell’economia americana. Ecco spiegato perché l’inversione della curva faccia così paura ai mercati.

Curva scadenze più piatta

Il fatto che la curva delle scadenze sul mercato dei T-bond si sia appiattita, pur restando molto negativa, cosa ci segnalerebbe? Senz’altro che gli obbligazionisti stiano prezzando condizioni monetarie nel prossimo futuro meno restrittive. Stando ai futures di ieri, al più tardi il costo del denaro tornerebbe ai livelli attuali. Sempre che esso continui a salire. Era una certezza che la Federal Reserve portasse i tassi almeno al 5% al prossimo board di marzo. Non è più così. Seguendo i tassi a 2 anni, in effetti, pare di cogliere l’attesa di tassi non in rialzo a marzo e in calo nei prossimi mesi.

Le stesse aspettative d’inflazione starebbero recedendo velocemente. Quelle captate dallo spread tra T-bond a 5 anni e TIPS (indicizzati ai prezzi al consumo) sono scese dal 2,34% di venerdì scorso al 2,19% di ieri.

E’ come se il mercato non solo intravedesse la fine della stretta monetaria, ma anche dei rischi associati all’inflazione. E ciò avverrebbe tramite un qualche impatto duro della crisi bancaria sull’economia reale.

La curva delle scadenze è diventata più ripida anche in Italia, dove il rendimento a 2 anni è sceso dello 0,33% e quello a 10 anni dello 0,20%. Anche da noi il mercato sconta condizioni monetarie meno restrittive nei prossimi mesi. D’altra parte, le aspettative d’inflazione si mostrano contenute per il medio-lungo periodo. E’ tornato il tempo di acquistare titoli di stato? In teoria, sì. Ma una risposta definitiva possiamo darla dopo il board di questo giovedì della Banca Centrale Europea. La scarsissima capacità analitica dimostrata dall’istituto in questi anni ci costringe a non scartare ad oggi alcuna ipotesi. Francoforte è lenta, poco reattiva, divisa al suo interno da posizioni quasi sempre disancorate dalla realtà.

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