Il 2022 è iniziato con la consapevolezza che l’inflazione negli USA sia salita l’anno scorso ai massimi livelli da 40 anni a questa parte, raggiungendo il 7% a dicembre. Per stabilizzare la crescita dei prezzi, la Federal Reserve quasi certamente alzerà i tassi d’interesse a partire da marzo. Secondo le stime del mercato, il costo del denaro quest’anno salirà di 125 punti base o 1,25% all’1,50%. Dunque, la FED alzerebbe i tassi per 5 volte al ritmo dello 0,25% alla volta. E non si esclude un sesto rialzo.

In poche settimane, quindi, le aspettative del mercato sono diventate ben più restrittive. E la curva dei bond americani inizia a lanciare segnali di tutto interesse. Lo spread tra il Treasury a 10 anni e quello a 2 anni si è ridotto da 85 a 61 punti base nel mese di gennaio. Al contempo, lo spread tra le scadenze a 10 e 7 anni si è dimezzato a soli 4 punti base. Infine, il Treasury a 30 anni ieri rendeva il 2,11%, 49 punti base in più del Treasury a 5 anni. Il differenziale era dello 0,64% un mese fa.

Questo significa che la prospettiva di tassi FED più alti sta appiattendo la curva dei bond americani. I rendimenti a medio-breve termine salgono più velocemente dei rendimenti a lungo e lunghissimo termine. Si può spiegare in più modi. Anzitutto, come la presa d’atto che la stretta monetaria comporterà un costo del denaro più alto e ridurrà l’inflazione nel tempo. Ma anche come la possibile consapevolezza che il ciclo economico americano sia maturo.

Tassi FED e inflazione contraccolpi sul PIL USA

E qui dovremmo fare un passo indietro di due anni. Prima della pandemia, le previsioni per una possibile recessione americana erano in voga e scontate dallo stesso mercato dei bond. Ad esempio, lo spread 10/2 anni era sceso sotto i 30 punti base o 0,30%. Nel periodo precedente, solamente il taglio dei tassi FED preteso dalla presidenza Trump aveva allontanato lo spettro di una crisi e ri-allargato gli spread.

Del resto, l’economia americana era cresciuta ininterrottamente dal febbraio 2009.

La pandemia ha stravolto le previsioni. Il PIL USA è precipitato negli abissi, un po’ come nel resto del mondo. Tuttavia, è rimbalzato immediatamente, cancellando le perdite in poco più di un anno. Adesso, viaggia su livelli più alti del 2019. In un certo senso, è come se il Covid non ci sia mai stato. Nel 2021, la crescita è risultata essere la più alta dal 1984. Ma il mercato dei bond americani segnala che il rialzo dei tassi FED, necessario per combattere l’inflazione, potrebbe far ripiegare o ristagnare il PIL nei prossimi trimestri.

Esistono fattori strutturali che depongono a favore di questa previsione. Il mercato del lavoro è in piena occupazione e le aziende americane non riescono a trovare manodopera sufficiente per ampliare la produzione. Anzi, il Great Resignation di questi mesi sta aggravando la situazione. Milioni di lavoratori in fuga alla ricerca di migliori opportunità occupazionali lasciano scoperte numerose posizioni, con la conseguenza che i prezzi salgono e la crescita rallenta. E l’inflazione inizia a colpire duro le famiglie, i cui redditi non stanno tenendo il passo con il carovita. Possibili contraccolpi sui consumi non sono da escludersi. E questi incidono per quasi il 70% del PIL USA.

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