Il board della BCE si riunisce dopodomani per quello che sarà a tutti gli effetti l’evento della svolta monetaria. Quasi certamente, l’istituto preparerà i mercati a un rialzo dei tassi per il mese di luglio. E ovviamente vi sarà anche l’annuncio della fine del “quantitative easing” (QE), gli acquisti netti di asset con il programma ordinario avviato nel marzo 2015. Il consensus sui due punti è sostanzialmente unanime. Ma “falchi” e “colombe” continuano a dividersi sulla tempistica della fine del QE e sull’entità della stretta di luglio.

I primi propendono per cessare gli acquisti sin da subito, mentre le seconde vorrebbero che ciò avvenisse alla fine del mese. Inoltre, i primi prenderebbero in considerazione anche un rialzo dei tassi di mezzo punto percentuale (0,50%) a luglio, mentre le seconde spingono per un quarto di punto percentuale (0,25%).

Fine degli stimoli BCE

Nell’Eurozona, il tasso d’inflazione medio a maggio è salito al nuovo record storico dell’8,1%. Ormai non esiste alcuna giustificazione per tenere in piedi gli stimoli monetari. Ma serpeggia la paura dello spread. Quello a 10 anni tra i bond di Italia e Germania è salito sopra 200 punti base, ai massimi da oltre due anni. Sono in tanti a temere che il rialzo dei tassi BCE finisca per mandare i rendimenti sovrani nel Sud Europa fuori controllo. Il rischio riguarderebbe particolarmente i BTp.

A fine maggio, il governatore Christine Lagarde aveva parlato di piano per contenere gli spread, smentendo la sua stessa dichiarazione di due anni prima, l’infausta “non siamo qui a chiudere gli spread”. Anche i “falchi” guidati dalla Bundesbank si starebbero convincendo della necessità di varare un piano per portare a casa almeno la lotta all’inflazione. Esso consisterebbe in acquisti “flessibili” dei bond oggetto di speculazione. A tale scopo, dall’istituto trapela che vi sarebbe persino la possibilità di non varare alcun piano formale nuovo, potendo i funzionari disporre di un “mini-bazooka” da 200 miliardi di euro.

Dettagli e dubbi del piano contro lo spread

Questa potenza di fuoco deriverebbe dall’anticipo dei reinvestimenti di un anno. In altre parole, la BCE comprerebbe all’occorrenza BTp e Bonos indipendentemente dalla quota loro spettante, così da restringere gli spread. E ciò senza impiegare ulteriori risorse oltre i 4.900 miliardi di euro sin qui spesi negli ultimi 7 anni per sostenere l’inflazione nell’area. A quali livelli di spread interverrebbe la BCE? Volendo essere onesti, già i 200 punti odierni appaiono fin troppi per una “unione” monetaria. Dopodiché, una domanda sorgerebbe spontanea: per quale ragione il mercato dovrebbe preferire i titoli di stato nordici, tedeschi in testa, se Francoforte nei fatti azzerasse il rischio di credito?

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