In queste settimane, vi abbiamo dato notizia di una sentenza clamorosa del Tribunale di Torino a favore della titolare di Buoni fruttiferi postali della serie P/Q. La ricorrente ha visto accolta la propria istanza, affinché su un capitale di 5 milioni di lire investito nel 1989 le fossero riconosciuti interessi più alti. Il metodo di calcolo degli interessi è uno dei punti di maggiore discordia tra Poste e CDP da una parte e i risparmiatori dall’altra.

In corso vi è una class action sui Buoni fruttiferi postali della serie Q emessa tra il 21 settembre 1986 e il 31 ottobre 1995.

L’iniziativa è stata promossa nel 2021 da Federconsumatori, a seguito della sentenza del Tribunale di Bergamo, secondo la quale gli interessi su questi titoli devono essere calcolati con la capitalizzazione composta al lordo dell’imposizione fiscale. Poste Italiane, infatti, fa riferimento per i primi 20 anni di durata al D.M. del Tesoro, 23.06.1997, il quale all’art.7 recita che sul montante dei Buoni della Serie Q gli interessi “continueranno” ad essere calcolati annualmente al netto dell’imposizione fiscale.

Buoni fruttiferi postali, scontro tra Poste e risparmiatori

Ora, questo decreto si pone in contrasto con la normativa generale del 1973, in base alla quale la tassazione avviene secondo il principio di cassa, non seguendo i tempi di maturazione degli interessi. Questo significa che Poste debba applicare l’aliquota del 12,5% sugli interessi (6,25% per i Buoni fruttiferi postali emessi tra il 21.09.1986 e il 31.08.1987) solamente alla scadenza dei buoni, quando effettivamente l’imposizione è dovuta. In caso contrario, essa starebbe deprimendo il calcolo degli interessi senza alcuna ragione. Nei fatti, pur non versando annualmente l’imposta allo stato, si comporterebbe come se lo stesse facendo, finendo per corrispondere al cliente un montante più basso.

A tale critica, Poste replica che, pur non essendovi prima del varo del D.M. del 1997 alcuna normativa specifica precedente sul calcolo degli interessi sui Buoni fruttiferi postali, era prassi praticare la capitalizzazione netta.

Senonché, le leggi vengono prima delle prassi, per cui Poste dovrebbe essere obbligata dai giudici a pagare ai risparmiatori gli interessi secondo la capitalizzazione lorda per i primi 20 anni. Dal 21-esimo al 30-esimo anno, invece, la capitalizzazione degli interessi diventa semplice.

Un esempio di calcolo lordo e netto degli interessi

Vi proponiamo un esempio per farvi capire la differenza tra capitalizzazione lorda e netta annuale. Supponiamo di avere acquistato Buoni fruttiferi postali per l’importo di 1.000.000 di lire, di durata trentennale e con tasso d’interesse del 10% annuale per i primi 20 anni. Seguendo la capitalizzazione composta lorda, avremmo al termine del ventennio un montante pari a:

  • 1.000.000 x 1,10^20 = 6.727.500 lire, cioè 3.474,46 euro. Sottraendo il capitale iniziale di 516,46 euro, gli interessi da tassare sarebbero pari a 2.958 euro. L’imposta da versare è di 369,75 euro. Il mio interesse netto risulta di 2.588,25 euro.

Adesso, calcoliamo gli interessi al netto della tassazione anno dopo anno:

  • 1.000.000 x 1,0875^10 = 5.352.853 lire, cioè 2.764,52 euro. Al netto del capitale, fanno 2.248 euro. Sono 340 euro in meno rispetto al caso precedente, circa il 66% dell’investimento. Capite benissimo che Poste ci guadagni dal calcolo netto, pur versando le imposte solamente alla scadenza. A rimetterci è solamente il titolare dei Buoni fruttiferi postali.

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