Molti risparmiatori in questi anni stanno ricevendo brutte sorprese, allorquando si ritrovano a riscuotere alla scadenza Buoni fruttiferi postali dall’importo finale inferiore alle aspettative. In tanti ci scrivono per capire quale sia la ragione di questa differenza, notando come i calcoli da noi effettuati in un nostro articolo pubblicato di recente (Buono fruttifero postale da 100.000 lire del 1992, quanto vale oggi?) coincidano con i loro, ma non con quelli ufficiali.

A tale proposito, riproponiamo l’esempio di cui sopra e cerchiamo di spiegare passo dopo passo a cosa sia dovuta la differenza con il calcolo effettuato da Poste Italiane.

I Buoni fruttiferi postali della serie Q del 1992 (da 100.000 lire, nel caso esaminato) offrivano i seguenti interessi:

  1. 8% fino al 5° anno;
  2. 9% dal 6° al 10° anno;
  3. 10,5% dall’11° al 15° anno;
  4. 12% dal 16° al 20° anno;
  5. 12% dal 21° al 30° anno.

Fino al 20-esimo anno, il calcolo degli interessi è composto, dopodiché diventa semplice. Significa che fino al 20-esimo anno gli interessi maturano a loro volta altri interessi, mentre dal 21-esimo anno gli interessi si calcolano solo sul montante risultante alla fine del 20-esimo anno. Alla scadenza, il titolare dei Buoni fruttiferi postali avrà rimborsata la cifra lorda di 745,83 euro. Tuttavia, sugli interessi vanno pagate le imposte del 12,5%. Essi ammontano a 694,18 euro (montante finale, escluso il capitale iniziale investito di 100.000 lire e convertito in euro), per cui allo stato vanno 86,77 euro. La cifra che effettivamente il risparmiatore incasserebbe è di 659,06 euro.

Il calcolo degli interessi di Poste sui Buoni fruttiferi postali

Tuttavia, Poste Italiane effettua un calcolo diverso e, senza bisogno che ve lo diciamo, meno favorevole al titolare dei Buoni fruttiferi postali. Essa applica l’imposta del 12,5% non alla scadenza, bensì alla fine di ogni anno, come se effettivamente la versasse allo stato in corso d’opera, cosa che non è. Ripetiamo il calcolo di cui sopra, ma a questo punto tenendo presenti gli interessi netti:

  1. 7% fino al 5% anno;
  2. 7,875% dal 6° al 10° anno;
  3. 9,1875% dall’11° al 15° anno;
  4. 10,5% dal 15° al 20° anno;
  5. 10,5% dal 21° al 30° anno.

Le 100.000 lire investite, pari a 51,65 euro, al quinto anno sono diventate 72,44 euro (75,89 euro con il calcolo lordo). Al decimo anno, il montante è di 105,70 euro (da 116,77 euro). Al quindicesimo anno, sale ancora a 164,04 euro (da 192,37 euro). Al ventesimo, sarà di 270,25 euro (da 339,01 euro). Infine, la capitalizzazione semplice per l’ultimo decennio: i 270,25 euro devono essere moltiplicati per il tasso netto del 10,5%, a sua volta moltiplicato per 10 anni. Risultato finale: 270,25 x 2,05 = 554.01 euro (da 745,83 euro). Come potete notare, la cifra che il risparmiatore incasserà con questo calcolo si rivela di quasi 200 euro più bassa. E ciò è dovuto proprio al fatto che Poste si avvale di un’apparente disposizione del D.M. del 1997, a seguito della quale gli interessi sono computati al netto e non al lordo dell’imposta di anno in anno.

Sulla questione, abbiamo scritto che il Tribunale di Bergamo abbia dato ragione al ricorrente e che Federconsumatori abbia promosso una class action per ottenere dal giudice che il calcolo degli interessi avvenga al lordo e solo alla scadenza Poste applichi l’imposta, in linea con la normativa fiscale generale. Tuttavia, la scorsa settimana il Tribunale di Roma non ha voluto neppure pronunciarsi nel merito per “carenza di presupposti”, come è scritto nell’ordinanza. Ma la battaglia legale non sembra finita, dato che l’associazione ha annunciato che porterà avanti le sue iniziative nei tribunali italiani a favore dei risparmiatori.

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