In tempi di rendimenti magrissimi, se non negativi, trovare ancora bond con cedole superiori al paio di punti percentuali è diventato stupefacente. Eppure, continuano ad esistere obbligazioni con cedole anche parecchio elevate, in quanto risentono del panorama del tutto diverso dei rendimenti in vigore sui mercati all’epoca quando vennero emesse. Una di queste è il BTp novembre 2023 (ISIN: IT0000366655) e cedola al 9%, che il Tesoro collocò sul mercato nel lontano novembre del 1993. Dunque, quello che oggi è un titolo con durata residua di 4 anni e 3 mesi, debuttò come trentennale.

Naturale, visto anche il periodo di emissione, che la cedola fosse così generosa.

Oggi, però, a fronte di un tasso del 9% annuo, il rendimento netto vale appena lo 0,52%. Perché? Semplice. Il BTp novembre 2023 si acquista sul mercato secondario a quasi 135, cioè dovreste spendere 135.000 euro per portarvi a casa titoli che alla scadenza vi verrebbero rimborsati a 100.000 euro. Tutto torna, dunque. Questo non significa, però, che non si possa giocare sulla maxi-cedola. In effetti, anche scontando l’alto prezzo sopra la pari, la cedola lorda in un anno varrebbe il 6,7% dell’investimento. Al netto dell’imposta, farebbe comunque un ottimo 5,85%.

Certo, quando alla scadenza vi verrà restituito un capitale nettamente inferiore a quello investito per acquistare il bond, verificherete con mano quanto basso si sarà rivelato il rendimento. Ma chi ve lo ordina di tenere il BTp fino alla data del rimborso? E se incassaste le cedole e lo rivendeste prima? Immaginate di acquistare il titolo oggi e di tenerlo in portafoglio fino all’1 maggio 2023, quando viene messa in pagamento la seconda cedola in meno di un anno (la prima da oggi sarebbe a inizio novembre). Se la quotazione si mantenesse stabile, avremmo portato a casa un maxi-rendimento netto di quasi il 6%. Sarebbe stato ottimo anche un decennio fa, oggi sarebbe un sogno.

L’influenza della BCE sui rendimenti di mercato

Potreste giustamente dubitare che il BTp regga di prezzo.

In fondo, un rendimento di appena mezzo punto percentuale risulta già basso. Vero, ma prima della nuova crisi dello spread, esplosa nel maggio dello scorso anno con la nascita del governo Conte, lo stesso BTp rendeva poco più di adesso, cioè lo 0,6%. Attenzione, perché allora era un quinquennale abbondante. Il bond a 4 anni, invece, si aggirava in area 0,30% e quello a 3 anni stava sottozero. Perché vi diciamo questo? Agli inizi dello scorso anno, il mercato scontava un rialzo dei tassi atteso per quest’anno, cioè una normalizzazione vicina della politica monetaria nell’Eurozona. Ciononostante, i rendimenti risultavano inferiori a quelli odierni per i BTp. Poi, le tensioni politiche hanno modificato il quadro.

Immaginando che la politica italiana fosse capace di conquistarsi un po’ di maggiore fiducia, se tra alcuni mesi si dovesse anche tornare a prevedere una restrizione della politica monetaria della BCE (improbabile così presto), il combinato tra i due effetti sarebbe forse ugualmente positivo per i nostri titoli di stato. Si avrebbe modo, cioè, di rivenderli a quotazioni simili o persino superiori e nel frattempo si sarà maturato un rendimento impensabile di questi tempi. E nella tarda primavera del 2020, il BTp novembre 2023 sarebbe ormai quasi un triennale, per cui i rendimenti scenderebbero (i prezzi salirebbero), ceteris paribus. Sembra troppo bello per essere vero, ma è una delle ragioni per cui i mercati continuano ad ammassare anche bond con rendimenti negativi, scommettendo su un ulteriore rialzo dei prezzi. Ma pochi titoli come questo regalerebbero laute soddisfazioni in così breve tempo.

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