Tre BTp Valore in appena nove mesi per un incasso complessivo di quasi 54 miliardi di euro. Un successo oltre le previsioni per le emissioni totalmente retail del Tesoro, complice del calo dello spread di questi mesi. Eppure l’ultima emissione di un BTp Italia risale ormai ad un anno fa, quando fu collocato sul mercato il nuovo bond a 5 anni. Non è neppure certo che ve ne sarà una nei prossimi mesi o quest’anno. Il Tesoro ha prospettato questa possibilità, ma “in base alle condizioni di mercato” con il suo programma per il 2024.

Stiamo parlando dei titoli di stato indicizzati all’inflazione tramite l’indice Foi dell’Istat.

Inflazione italiana attesa

In teoria, dovrebbero esservene sul mercato sempre con scadenze pari a 4, 5, 6 e 8 anni. Allo stato attuale, però, di BTp Italia in circolazione ne abbiamo otto e nessuno per le scadenze a cinque e otto anni. Perché il governo non sfrutta il grande successo ottenuto alle aste retail per invitare le famiglie a proteggersi contro l’inflazione? Ce lo spiegano proprio i titoli già emessi. Facciamo riferimento, in particolar modo, alle scadenze nel 2028 (marzo e novembre) e a quella nel giugno 2030. Perché proprio queste? Ci consentono di capire cosa il mercato pensa che accada da qui ai prossimi quattro e sei anni rispettivamente. In sostanza, abbiamo un buon segnale per i cinque anni a venire, un orizzonte temporale classico per chi investe.

I BTp Italia con scadenza nel 2028 offrono rendimenti reali, ossia al netto dell’inflazione, in area 2,15%. I titoli di stato con cedole fisse di pari durata offrono intorno al 3,20%. La differenza dell’1,05% ci esita il tasso d’inflazione medio annuo scontato dal mercato nei prezzi dei due bond. Il BTp Italia giugno 2030 rende, invece, circa il 2,30%, esattamente l’1% in meno del bond con cedola fissa. Qui, il tasso d’inflazione attesa si conferma persino leggermente inferiore.

Allo stato non conviene molto emetterli adesso

Da questi dati emerge che il mercato non teme più l’inflazione o perlomeno essa non è insita nei prezzi obbligazionari. Il rischio sarà anche sottostimato, ma tant’è. E più basso esso viene percepito, minore l’appeal dei BTp Italia. Per il Tesoro emetterli avrebbe attualmente poco senso. Rischierebbe di attirare scarsi capitali delle famiglie e di coprire mediaticamente così il successo riportato con i BTp Valore fino ad oggi. Del resto, allo stato conviene emettere questi titoli quando può offrire cedole relativamente basse. Oggi come oggi, una nuova scadenza quinquennale dovrebbe fissare una cedola annuale minima garantita intorno al 2,20%. Con il rischio che, se l’inflazione salisse sopra le aspettative, il il costo risulterebbe ben superiore a quello sostenuto con i bond ordinari.

BTp Italia per il momento non invocati dal mercato

E poiché una certa asimmetria informativa tra emittente e creditore esiste sull’inflazione futura attesa, è credibile ipotizzare che lo stato italiano tema che questa si rivelerà sopra le attuali aspettative. D’altra parte, i BTp Italia non sembrano mancare alle famiglie. In questo momento, la scadenza a 5 anni rende il 3,25% lordo, poco più del 2,70% netto. E scontando l’inflazione di cui sopra, il rendimento netto reale medio sarebbe di 1,65% all’anno e dell’8% totale. Rispetto ai tempi in cui bisognava fare acrobazie per non inserire in portafoglio rendimenti nominali negativi, un grande passo in avanti.

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