Lo spread sta reggendo all’avvio della campagna elettorale, inattesa fino a pochi giorni fa. Il differenziale di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi a 10 anni sta restando sotto 240 punti, pur in rialzo rispetto a prima che le tensioni politiche portassero alla caduta del governo Draghi. Il TPI, lo scudo anti-spread messo in atto dalla BCE al board di giovedì scorso, sta funzionando per il momento a scoraggiare le vendite dei bond. E non era per niente scontato.

I mercati finanziari non stanno correndo a disfarsi dei BTp sui timori per la sostenibilità del debito pubblico italiano. In un certo senso, hanno ragione. Vi presentiamo tre esempi elementari per farvi capire quanto queste insinuazioni siano perlopiù disancorate dalla realtà.

Bond con maxi-cedola in scadenza

Tra poche settimane, il Tesoro dovrà rimborsare qualcosa come ben 19,6 miliardi di euro per un solo bond. Si tratta del BTp con scadenza 1 settembre 2022 e maxi-cedola 5,50%. Fu emesso nel 2012, per cui debuttò sul mercato come decennale. A inizio novembre, sarà la volta di un altro ex decennale e sempre con maxi-cedola 5,50%. L’importo da rimborsare sarà di poco inferiore al primo, cioè 19,4 miliardi. In tutto, saranno 39 miliardi solamente attraverso due scadenze. Un’enormità.

Il Tesoro pagherà gli obbligazionisti prendendo a prestito nuovo denaro sui mercati. Insomma, rimpiazzerà debito vecchio con debito nuovo. State certi che gran parte degli obbligazionisti uscenti rinnoveranno il prestito allo stato italiano. Parliamo perlopiù degli investitori istituzionali. Supponendo che il Tesoro emetterà nuovi BTp a 10 anni per pagare i vecchi decennali, beneficerà di un risparmio in termini di minori costi di emissione.

La maxi-cedola del 5,50% su 39 miliardi di euro fanno qualcosa come quasi 2,15 miliardi all’anno. Al netto dell’imposta del 12,50% (partita di giro per lo stato), il costo netto scende a 1,88 miliardi. Se questi 39 miliardi saranno pagati emettendo BTp a 10 anni ai tassi attuali in area 3,50%, il costo netto scenderebbe a 1,20 miliardi.

Nel giro di niente, lo stato avrà risparmiato 680 milioni.

E nel maggio dell’anno prossimo, in scadenza arriverà un altro BTp con maxi-cedola, stavolta del 4,50%. Anche questo fu un decennale all’emissione del 2013. L’importo in circolazione di questo titolo ammonta a 17,7 miliardi. In pratica, lo stato italiano ha speso ogni anno 669 milioni di euro netti per pagare le cedole agli obbligazionisti. Ai tassi attuali, per rimpiazzare il bond con un nuovo decennale, ne spenderebbe poco più di 540 milioni. Il risparmio in questo caso supererebbe i 125 milioni.

Risparmi per lo stato su spesa per interessi

Da settembre a maggio, solamente tenendo in considerazione tre bond in scadenza, il risparmio stimabile a carico dello stato ammonta a quasi 800 milioni. Minore spesa per interessi, che migliorerà il saldo fiscale, cioè i conti pubblici. Perché vi diciamo tutto questo? Allarmare gli italiani a ogni piè sospinto che saremmo sull’orlo del default non è serio. Non che l’Italia non possegga un debito pubblico gigantesco ed enormi problemi di crescita economica. Semplicemente, la matematica suggerisce maggiore prudenza quando si dibatte su questi temi.

Pur in forte crescita, i rendimenti dei titoli di stato restano nettamente inferiori a quelli a cui arrivarono in passato prima del “quantitative easing”. Il nostro Paese continua a indebitarsi a costi più bassi di quelli sostenuti sui debiti che arrivano a scadenza. Il Tesoro continua a risparmiare (sempre meno) sulle nuove emissioni. Non c’è da sedere sugli allori, ma la matematica non è un’opinione.

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