Si complica la strada per l’ennesimo aumento di capitale di Monte Paschi di Siena (MPS). Il mercato non vorrebbe sentirne di partecipare con 600 milioni, a fronte di un valore di borsa delle azioni complessive di appena 230 milioni. L’AD Luigi Lovaglio starebbe coinvolgendo banche come Unicredit e Intesa Sanpaolo in quello che assumerebbe a tutti gli effetti i connotati di un salvataggio di sistema. Tuttavia, non sembra che vi sia interesse alcuno verso tale soluzione. E ieri il bond subordinato con scadenza 18 gennaio 2028 e “call” a partire dal 18 gennaio 2023 (ISIN: XS1752894292) è sprofondato a poco più di 48 centesimi.

Il rendimento lordo annuale si attesta così in prossimità del 30% e nel caso in cui la banca esercitasse il diritto di rimborso anticipato tra poco più di tre mesi, esso schizzerebbe sopra il 390%.

Questo boom riflette certamente l’elevatissimo rischio di credito che gli obbligazionisti corrono oggi nel possedere il bond subordinato MPS. Non ci si attende, tuttavia, alcuna call per gennaio prossimo. La banca non possiede la liquidità necessaria per rimborsare i creditori e certamente non avrebbe modo di rifinanziarsi sui mercati a costi sostenibili. Tanto vale, a questo punto, continuare a staccare cedole di entità contenuta, tutto sommato.

Bond subordinato a rischio haircut, improbabile bail-in

L’aumento di capitale di MPS ammonta a 2,5 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi a carico del Tesoro. Per il resto, tra Anima e Axa dovrebbero arrivare altri 300 milioni. Resterebbero azioni inoptate per un valore massimo di 600 milioni. Ed è qui che rischia di scattare l’haircut” per gli obbligazionisti. In pratica, il valore dei bond subordinati sarebbe ridotto di una percentuale (media attesa del 40%), così da ridurre la massa passiva.

L’operazione sarebbe un’alternativa al più temuto “burden sharing”, che scatta nel momento in cui una banca chiede il salvataggio allo stato. Prima che ciò si verifichi, i suoi creditori dovranno partecipare alle perdite per non meno dell’8% della massa passiva.

Nell’ordine, saranno chiamati a ripianarli gli obbligazionisti subordinati, gli obbligazionisti senior e i titolari dei conti correnti sopra 100.000 euro e limitatamente alla somma eccedente tale soglia.

Insomma, il bond subordinato che si acquista ormai per meno della metà del suo valore è sintomatico del rischio di un flop dell’aumento di capitale. Per evitare che ciò accada, Lovaglio eventualmente rinvierebbe l’operazione. Nel frattempo, si starebbe adoperando persino con i fondi speculativi per reperire i 600 milioni necessari ad evitare di alzare bandiera bianca. Egli è consapevole, altresì, che il futuro governo a guida Giorgia Meloni sia tendenzialmente contrario all’ennesima ricapitalizzazione a perdere per i contribuenti. E a differenza del 2017, a possedere oggi un bond subordinato sono oggi i soli investitori istituzionali (banche, fondi, assicurazioni) e non padri e madri di famiglia. Il loro capitale può essere tosato senza drammi sociali.

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