L’aumento di capitale del Monte Paschi di Siena (MPS) è stato portato a termine “con successo” alla fine di ottobre. Ma già la banca toscana in borsa vale oltre un terzo in meno rispetto alla sola iniezione di capitali di pochi giorni fa. Ai prezzi di mercato, ieri capitalizzava 1,61 miliardi, a fronte di un’operazione di 2,5 miliardi. Ancora una volta, sembra che sia un pozzo senza fondo. Peraltro, il valore di mercato coincide con il solo esborso del Tesoro, che detiene più del 64% del capitale, seguito a lunga distanza dalla compagnia assicuratrice francese Axa con circa l’8%.

Per il momento, comunque, può sorridere il bond subordinato più liquido tra quelli emessi da MPS.

Aumento MPS a colpi di commissioni

Scadenza 18 gennaio 2028 (ISIN: XS1752894292), ieri si acquistava a un prezzo di poco inferiore agli 80 centesimi. Ai minimi di due mesi fa, stava ad appena 45 centesimi. Da allora, il balzo è stato di quasi l’80%, per l’esattezza del 77%. Ed è legato proprio al buon esito dell’aumento di capitale, già scontato da settimane per via dell’accordo stipulato tra MPS e consorzio bancario sulla copertura delle azioni eventualmente rimaste inoptate. Un accordo costoso, dato che le maxi-commissioni riconosciute agli istituti ammontano a 125 milioni.

Il bond subordinato 2028 è un “callable”, cioè può essere rimborsato in anticipo già in data 18 gennaio 2023. In caso negativo, la banca dovrà riconoscere agli obbligazionisti una cedola non più fissa e pari al 5,375% come fino a quel giorno, bensì variabile e legata all’andamento dell’IRS a 5 anni. Ai tassi attuali, qualcosa come più dell’8% all’anno. Questo significa che l’attuale quotazione corrisponderebbe a un rendimento lordo alla scadenza intorno al 14%. Invece, se la scadenza fosse anticipata al prossimo gennaio, il rendimento per l’obbligazionista sarebbe superiore al 125%.

Rischi restano sul bond subordinato

Gli investitori non si aspettano l’esercizio della call, date le condizioni finanziarie avverse sia del contesto generale che, nello specifico, di MPS.

Sembra allontanarsi, però, lo spettro del “burden sharing” che aveva agitato tantissimo gli obbligazionisti. Tant’è che alcuni istituzionali in possesso di obbligazioni subordinate hanno partecipato alla ricapitalizzazione con l’obiettivo di allontanare tale scenario.

Non ci sarà, in parole semplici, la temuta conversione del bond subordinato in capitale a copertura parziale delle passività bancarie. Questo permette ai possessori di tirare un sospiro di sollievo. Ma che la situazione sia tutt’altro che tranquilla lo testimoniano gli alti rendimenti ancora offerti anche dopo l’aumento. Come lascia presagire il tonfo in borsa delle sedute di novembre, l’operazione appena portata a termine rischia di essere l’ennesimo bicchiere di acqua fresca a un malato grave. La pressione sui titoli obbligazionari resterà alta a lungo.

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