Ieri, ENI ha concluso con grande successo l’emissione di un bond in euro in due tranche, di cui una da 6 e l’altra da 11 anni. A fronte dei 2 miliardi complessivamente offerti, le richieste sono state pari a 9,1 miliardi, per cui il book è stato coperto 4,5 volte. I titoli scadono rispettivamente nel maggio 2026 e nel maggio 2031. La prima tranche ha attratto 4,8 miliardi, la seconda 4,3 miliardi. Grazie all’elevata domanda, in entrambi i casi i rendimenti esitati sono risultati inferiori a quelli fissati in fase di “guidance”.

In particolare, la tranche a 6 anni ha chiuso il collocamento a un rendimento di 165 punti base sopra il “midswap”, 15 in meno delle previsioni, all’1,36%.

Perché la crisi del petrolio impatta negativamente su bond e azioni

Positivo l’andamento anche della seconda tranche, che si è chiusa con un rendimento a +210 punti base sopra il midswap, 10 in meno delle previsioni e pari al 2%. Ad essersi occupati del collocamento sono state le sei banche a cui era stato affidato il mandato: Barclays, BNP Paribas, Credit Agricole, JP Morgan, Mediobanca e Unicredit. Ricordiamo anche che i rating assegnati al bond senior non garantito dovrebbero essere uguali a quelli dell’emittente, pari ad “A-” per S&P e Fitch e “Baa1” per Moody’s. Dunque, le valutazioni delle principali agenzie internazionali sono nettamente migliori di quelle assegnate al nostro debito sovrano.

I titoli verranno quotati alla Borsa del Lussemburgo e il taglio minimo per acquistarli sarà di 100.000 euro, per cui obiettivamente non sono alla portata di tutte le tasche. Ad ogni modo, rappresentano una buona opportunità di investimento e di diversificazione del portafoglio, pur restando in Italia. ENI è un gioiello della nostra industria tricolore, anche se chiaramente ha risentito in borsa specificamente delle tensioni legate al petrolio, con le sue azioni ad avere perso il 38,5% quest’anno. Male sono andati anche i suoi bond.

Quelli con scadenze non molto dissimili dalle tranche di nuova emissione, vale a dire con durata residua di 5 e 9 anni, hanno perso rispettivamente il 7,7% e il 4,6% dai massimi toccati a febbraio, prima che l’emergenza Coronavirus travolgesse l’Italia.

Scommessa sul futuro

E proprio questi cali dovrebbero segnalarci le grosse opportunità di rimbalzo, già parzialmente dispiegatosi nelle ultime settimane, quando le quotazioni del petrolio torneranno a salire per tendere ai valori pre-pandemici. Non stiamo parlando di una prospettiva immediata, essendo necessario che i “lockdown” imposti dai governi nel mondo vengano prima del tutto rimossi e che la mobilità si normalizzi, così come che i livelli produttivi delle grandi aree economiche si stabilizzino. Salvo inciampi, purtroppo non da escludere per il caso di una seconda ondata di contagi, entro il primo semestre del 2022 gli effetti della crisi dovrebbero essere stati globalmente superati e i prezzi del greggio tornerebbero ai 65 dollari di inizio 2020, con le compagnie estrattrici ad approfittarne, vedendo apprezzare le loro azioni e obbligazioni.

Chi investe in questi bond ENI può confidare in un guadagno relativamente elevato di questi tempi per il grado di sicurezza offerto e capace di più che compensare fino alla scadenza i tassi d’inflazione nel frattempo registrati. Infine, può sperare ragionevolmente di rivenderli in anticipo per maturare plusvalenze anche sostanziose e accrescere il valore dell’investimento. Inserirli in portafoglio significa, quindi, scommettere sulla ripresa dell’economia globale, che prima o poi ci sarà.

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