Luis Inacio Lula da Silva è da ieri presidente del Brasile per la terza volta. I primi due mandati gli furono affidati dagli elettori tra il 2003 e il 2011. Si tratta di un fatto inedito per la storia recente del paese da quando è tornato alla democrazia a metà anni Ottanta. Per gli investitori, il momento di fare una riflessione approfondita circa l’opportunità di continuare ad investire nei bond del Brasile dopo la presidenza di Jair Bolsonaro. Gli occhi sono adesso puntati su Fernando Haddad, nuovo ministro delle Finanze e già sindaco di San Paolo.

Ha un profilo più politico che tecnico e per gli osservatori internazionali ciò sarebbe il segnale che Lula vorrebbe perseguire una politica fiscale espansiva. Il Congresso ha già stanziato 145 miliardi di real (25,7 miliardi di euro) per finanziare Bolsa Familia, lo storico programma di assistenza alle famiglie varato nei due mandati precedenti dall’attuale capo dello stato e simile al nostro reddito di cittadinanza.

I bond del Brasile a 10 anni offrono un rendimento del 12,76%, cioè a premio di circa 1.025 punti base o 10,25% sui Bund di pari durata. Tale enorme differenziale segnala non solo una condizione di stress finanziario scontata dal mercato; essa sarebbe anche la spia di valutazioni negative sull’evoluzione futura dei tassi di cambio e sulla permanenza dei tassi d’interesse a livelli elevati per un periodo prolungato. La banca centrale ha alzato il Selic al 13,75% per contenere l’inflazione, effettivamente scesa dal picco di oltre il 12% di aprile al 5,9% di novembre. Adesso, però, il mercato si aspetta che tale tasso di riferimento rimanga alto quest’anno, al fine di scoraggiare i deflussi dei capitali sotto Lula.

Bond Brasile a sconto

Il programma fiscale del nuovo governo resta grosso modo sconosciuto. Sappiamo solo che Lula vuole aumentare la spesa sociale, ma non se ne conoscono le fonti di finanziamento.

Il ricorso all’indebitamento sarebbe un grosso problema per i bond del Brasile. Il debito pubblico nel 2022 dovrebbe essere salito al 74% del PIL, ma gli analisti stimano che entro la fine del mandato di Lula salirà ancora al 90%. I rating sono già bassi: BB- per S&P e Fitch, Ba2 per Moody’s. D’altra parte, il Tesoro dispone di oltre 1.000 miliardi di real di liquidità, sufficienti per coprire oltre 9 mesi di titoli di stato in scadenza.

Se puntassimo su un bond del Brasile denominato in dollari, c’è quello con data di rimborso 13 gennaio 2028 e cedola 4,625% (ISIN: US105756BZ27) a cui prestare attenzione. Prezza sotto la pari, ossia a meno di 96 centesimi, offrendo così il 5,68% lordo all’anno. Si tratta di un premio di 168 o 1,68% sul T-bond di pari durata. Uno spread contenuto, che segnalerebbe come la gran parte dell’extra-rendimento brasiliano sia dovuto alle aspettative negative sul cambio più che ai timori fiscali in sé.

Crescita sarà test per Lula

Il principale problema per i bond del Brasile sarà la crescita dell’economia. Negli otto anni passati alla presidenza, Lula ebbe la fortuna di ritrovarsi a gestire una congiuntura favorevole per le materie prime. L’aumento del gettito che ciò comportò fu usato per finanziare i programmi di spesa assistenziale. Dopo quel periodo, il paese entrò in stagnazione e le magagne saltarono fuori. I rendimenti sovrani esplosero e il cambio implose sotto la sua delfina Dilma Rousseff, estromessa dalla presidenza con una procedura d’impeachment. Sotto Bolsonaro, il mercato fu rassicurato da una politica fiscale ordinata. La misura più apprezzata fu la storica riforma delle pensioni, con risparmi attesi in almeno 800 miliardi di real in dieci anni e che Lula vorrebbe disfare.

Se l’anno scorso il PIL dovrebbe essere cresciuto del 3%, per quest’anno ci si attende un forte rallentamento sotto l’1%.

Se Lula dovesse indisporre gli investitori con qualche passo falso, il rischio per i bond del Brasile sarebbe di ritrovarsi privi di capitali stranieri. I rendimenti galopperebbero ulteriormente e i prezzi tonferebbero. In un contesto di forte aumento dei tassi globali, Lula non potrà permettersi di varare misure in deficit. Il timore è che sappia dove mettere le mani, vale a dire tra quel ceto medio produttivo che tiene a galla economia ed entrate fiscali.

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