Non è stato un 2021 positivo per il mercato obbligazionario globale, almeno sino ad oggi. Dopo la corsa ai beni rifugio nel corso del 2020, con l’allentamento delle tensioni sulla crisi sanitaria e quella economica gli investitori sono tornati più propensi al rischio. E i bond dell’Austria a 100 anni, termometro dello stato di salute del mercato, ci offrono una buona panoramica di quanto stia accadendo.

Vienna ha due titoli centenari. Uno è stato emesso nel settembre 2017 e ha scadenza nel mese di settembre del 2117 (ISIN: AT0000A1XML2).

L’altro ha vita molto più recente, essendo stato collocato sul mercato nel giugno dello scorso anno e in scadenza nel giugno 2120 (ISIN: AT0000A2HLC4). I due bond dell’Austria si differenziano per la cedola: al 2,10% il primo, allo 0,85% il secondo.

Dai record toccati nel dicembre scorso, l’obbligazione 2117 perde circa il 31% e quella 2120 ben il 36%. Pertanto, esse offrono attualmente un rendimento rispettivamente dello 0,91% e dell’1,08%. Pensate che a fine 2020 rendevano entrambi in area 0,30-0,35%. Tuttavia, è successo che nelle ultime due settimane, entrambe le quotazioni ostentano solidi recuperi.

Il bond dell’Austria 2117 ha segnato un rialzo del 4,6% dal 19 maggio scorso, mentre il 2120 del 6%. Più che di un’inversione di tendenza, si è trattato di una correzione delle maxi-perdite accusate nei mesi precedenti. Gli obbligazionisti hanno preso atto delle svariate dichiarazioni arrivate dalla BCE. A partire dal governatore Christine Lagarde, tutti hanno cercato più o meno di segnalare che al board di giugno non si parlerà di ridurre gli acquisti settimanali di bond con il PEPP. E di rialzo dei tassi non è proprio l’ora.

Queste dichiarazioni hanno avuto un doppio effetto: rinvigorire i bond nella semi-periferia dell’Eurozona, con gli spread ad essersi ristretti; sostenere il tratto lungo delle curve nei mercati “core” del Nord Europa. Gli stessi Bund a 30 anni, ad esempio, si sono apprezzati di oltre il 2% dai minimi di maggio.

Questo, perché la garanzia di stimoli monetari duraturi da un lato riduce il rischio sovrano a carico di stati come l’Italia e dall’altro allenta le tensioni sul tratto ultra-lungo degli stessi “safe asset”. Nel medio-lungo termine, l’outlook resta negativo. I rendimenti appaiono troppo bassi per scadenze così longeve. Non coprono neppure dall’inflazione, all’1,9% in aprile in Austria.

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